Sentenze

Cassazione, per chi assiste il disabile non grave trasferimento solo per insostituibili e urgenti esigenze aziendali

Il diritto del lavoratore, pubblico o privato, che assiste un familiare portatore di handicap a non essere trasferito senza il proprio consenso a un'altra sede di lavoro non presuppone necessariamente che la disabilità del familiare abbia una connotazione di gravità. Ha precisato, in questo senso, la Cassazione con sentenza n. 25379 del 12 dicembre 2016 che l'articolo 33, commi 3 e 5, della legge 104/1992, la quale impedisce il trasferimento del lavoratore (in mancanza di suo consenso) se l'assistenza è resa a persona con “handicap in situazione di gravità”, deve essere interpretato alla luce dei principi costituzionali e comunitari di tutela della persona disabile.
Osserva la Cassazione che, leggendo la norma nazionale nel più ampio contesto della Costituzione Italiana (articolo 3), della Carta di Nizza (articolo 26) e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili (ratificata con legge 18/2009), il concetto di gravità dell'handicap da cui è affetto il disabile va inteso in senso relativo. Ne consegue, ad avviso della Corte, che il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare affetto da handicap è vietato anche quando la disabilità non presenta caratteristiche di gravità, a meno che il datore di lavoro possa contrapporre l'esistenza di insostituibili ed urgenti esigenze aziendali. Solo in quest'ultimo caso, conclude la Cassazione, il trasferimento del dipendente che assiste il familiare con handicap non in condizione di gravità può essere disposto anche in assenza di consenso del medesimo lavoratore.
Il caso sottoposto alla Cassazione era relativo al licenziamento che il datore aveva disposto in quanto il lavoratore, che assisteva un familiare affetto da handicap, si era rifiutato di dare esecuzione al proprio trasferimento di sede, invocando l'applicazione dell'articolo 33 della legge 104/1992. La Corte d'appello aveva confermato il licenziamento sul presupposto che non si rientrava nel campo di applicazione del divieto di trasferimento, in quanto dalla documentazione medica non era emersa una situazione di handicap grave del familiare disabile. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore.
La domanda su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione è, dunque, se il divieto di trasferimento ex art. 33 L. n. 104/1992 è integrato solo in presenza di assistenza a persone colpite da una grave forma di handicap, ovvero se sussista anche in presenza di una disabilità priva della predetta condizione di gravità.
Al quesito la Corte ha risposto riproponendo un precedente insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel senso che il divieto di trasferimento non presuppone una condizione di handicap grave del familiare assistito, essendo compatibile con una situazione invalidante priva di tale connotato. La Cassazione aggiunge, tuttavia, che il diritto del lavoratore che assiste un familiare portatore di handicap a non essere trasferito decade in presenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, tali per cui non vi sia altra soluzione alternativa allo spostamento della sede di lavoro del dipendente.


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