Sentenze

Cassazione: caso Montefibre, i medici non hanno tutelato la salute dei lavoratori. Danno da esposizione da accertare

di Paola Ferrari (avvocato)

Non c’è pace per gli 88 lavoratori che accusarono la Montefibre di Acerra di avere provocato la morte di alcuni dipendenti e causato patologie gravi per l’inalazione di fibre di amianto e mancata adozione di misure di sicurezza. La Cassazione penale, sezione 4, con la sentenza n. 5273/2017 del 3 febbraio, accogliendo parzialmente le difese delle parti civili, ha annullato la decisione della corte d’Appello in relazione all’omessa valutazione del reato di disastro, fondamentale ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale definito «del superstite».

Nel corso del processo, degli 88 lavoratori coinvolti uno solo fu accertato come deceduto a causa dell’esposizione all’amianto all’interno degli stabilimenti. Per gli altri l’accertamento fu dubbio e, conseguentemente, non venne affermata per gli stessi la responsabilità penale dei direttori dello stabilimento che si sono susseguiti dal 12 agosto 1976 al giugno 2004. Si impone quindi l’annullamento della sentenza impugnata, affermano i giudici, limitatamente al capo A) della rubrica e agli effetti civili, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, la quale dovrà accertare se la ritenuta condizione di pericolo sia risultata connotata sotto il profilo dimensionale dalla sua vastità (non necessariamente immane) e sotto quello della proiezione soggettiva dalla sua capacità di interessare un numero indeterminato di persone (con l’importante precisazione che l’indeterminatezza può derivare anche dalla fungibilità degli esposti a pericolo, nel complesso non ammontanti a un grande numero).

A tale scopo, impregiudicata la valutazione di eventuali ulteriori indici, dovrà rendere esplicito di aver considerato la consistenza numerica della popolazione lavorativa dello stabilimento di Acerra; il numero dei lavoratori esposti alla fibra aerodispersa, in assoluto ma anche nella sua composizione (turnazioni, sostituzioni ecc.); la durata e l’intensità delle stesse, con conseguente revisione delle condizioni di danno civile anche per gli altri lavoratori. In sintesi, le argomentazioni della Corte che coinvolgono i medici del lavoro sotto la quadrupla veste di studiosi, di consulenti tecnici, di collaboratori del giudice, di collaboratori dell’imprenditore e quali garanti della salute dei lavoratori.

Necessità di uniformare i termini. La Cassazione ha già rimarcato che, nell’affrontare il tema del nesso di causalità, il giudizio controfattuale impone di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento. In ragione di ciò deve essere messo un punto fermo sulle tecniche da utilizzare per distinguere un mesotelioma pleurico da altre patologie tumorali similari, quali l’adenocarcinoma primitivo del polmone e del suo tempo di latenza.

Inoltre, ai fini dell’individuazione dei tempi di latenza, afferma la sentenza, determina l’eclettico tempo delle due misure corrente a ritroso a partire dalla manifestazione della malattia (5 o 10 anni), il che evidenzia il vuoto cognitivo in cui si muovono i giudici. Basta considerare che se la latenza vera inizia cinque anni prima della diagnosi, l’intero periodo durante il quale gli imputati avevano ricoperto il ruolo ricadrebbe in quello di induzione della malattia ma se, al contrario, l’inizio dovesse essere arretrato a dieci anni, l’esposizione verificatasi sotto la direzione degli imputati non avrebbe avuto rilievo causale rispetto alla malattia dell’unico lavoratore accertato.

«Questo significativo gap viene superato dai giudici di merito evocando l’effetto acceleratore. Ma questo segnala come la singola fibra interagisce con il processo patogenetico, non quali sono i termini temporali di questo ai fini penali».

Medico garante dei lavoratori. Il medico competente è stato giudicato colpevole dai giudici della Cassazione, che hanno affermato che per un considerevole lasso di tempo è rimasto sostanzialmente «estraneo alla gestione della sicurezza in ambiente lavorativo, limitandosi ad eseguire le visite preassuntive e periodiche mentre sorveglianza sanitaria, pur costituendo un obbligo del datore di lavoro per la tutela della integrità psicofisica dei lavoratori, deve essere svolta attraverso la collaborazione professionale del medico aziendale che è garante dei lavoratori». «Questa figura - affermano i giudici - svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: essa, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze». In breve, in un lavoro in équipe (...) con l’assunzione dell’incarico, i medici assumono «l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni e di segnalare in modo tempestivo i pericoli accertati e/o percepiti». Il concetto di disastro sta nella «potenza espansiva del nocumento».

Importante invece, l’interpretazione di pericolo data alla definizione di disastro contenuta nel comma 2 dell’articolo 437 del codice penale. Il disastro, affermano i giudici, è «evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi, gravi, complessi ed estesi, ed idoneo a determinare un pericolo per la vita e l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone (senza che sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o della lesione di uno o più soggetti)».

«Il reato innominato previsto dall’articolo 434 del codice penale (“altro disastro”) risulta integrato non soltanto dal macroevento di immediata manifestazione esteriore che si verifica in un arco di tempo ristretto, ma anche dall’evento, non visivamente e immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo molto prolungato, sempre che comunque produca una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità. Dal che è derivata la riconduzione alla nozione di disastro innominato pure dei fenomeni derivanti da immissioni tossiche che incidono sull’ecosistema e sulla qualità dell’aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento, di lunga e lunghissima durata, dell’“habitat” umano».

Paola Ferrari

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