Sentenze

Responsabilità medica: non è sufficiente il solo coefficiente di probabilità statistica

di Pietro Verna

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In tema di responsabilità medica, sussiste il nesso di causalità tra l'omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della malattia e il decesso del paziente, quando risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente. Dimodoché il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica ed al di là di ogni ragionevole dubbio (Corte di Cassazione- Sez. IV, sentenza 17 aprile 2020, n.12353). In questi termini, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto contro la pronuncia con la quale la Corte di appello di Palermo ( sentenza 21 dicembre 2018) aveva dichiarato un neurochirurgo del Policlinico universitario di Palermo responsabile del reato di omicidio colposo della morte di una paziente affetta da idrocefalo triventricolare.

Il giudice di secondo grado aveva addebitato al medico di aver colposamente sottovalutato le condizioni della paziente, omettendo di sottoporla tempestivamente ad un intervento di derivazione ventricolare esterna, determinando in tal modo "un danneggiamento intenso ed irreversibile del cervello della paziente, cagionandone il decesso". Decisione che i giudici di Piazza Cavour hanno "ribaltato" per due ordini di motivi. In primis per difetto di motivazione: la Corte territoriale peloritana, nonostante il giudizio dei periti che avevano evidenziato l'elevata improbabilità che dalla condotta pretesa dal sanitario sarebbe derivato un effetto salvifico ("…nessuna terapia farmacologica sarebbe stata idonea ad incidere positivamente sulla sopravvivenza della paziente. […]. Si ritiene altamente improbabile che se anche l'intervento fosse stato eseguito immediatamente presso l'ospedale civico la paziente si sarebbe salvata [in quanto] le possibilità di insuccesso sarebbero state intorno all'80/90%"), aveva affermato che "anche una percentuale di successo dell'intervento […] pari al 10 o al 20% avrebbe avuto una valenza certamente più promettente e rassicurante […], qualora l'imputato si fosse da subito ed adeguatamente attivato".

In secondo luogo perché la Corte di appello aveva fatto sostanziale riferimento al risalente indirizzo giurisprudenziale sulla c.d. perdita di chance (cfr., Cassazione, Sez. IV, 26 gennaio 1998) in base al quale, nella verifica del nesso di causalità tra la condotta del sanitario e la lesione del bene della vita del paziente, occorreva privilegiare un criterio meramente probabilistico sulle possibilità di successo del comportamento alternativo. Indirizzo che è stato definitivamente abbandonato a seguito della sentenza della Cassazione -Sezioni Unite n. 30328 del 10 luglio 2002, secondo cui il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come la "verifica aggiuntiva" dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica (da ultimo, Cassazione, Sez. IV, sentenze: 18 gennaio 2019, n. 5901 e 14 febbraio 2013, n.18573) Il che non è avvenuto nel caso di specie in quanto la Corte territoriale peloritana, in maniera contraddittoria ed illogica, ha desunto la sussistenza del nesso eziologico "sulla base di labili e apodittici elementi indiziari, privi di fondamento scientifico o esperienziale", e come tali inidonei a fondare quel giudizio di "alta probabilità logica necessario a fondare la prova in ordine alla sussistenza del nesso di condizionamento fra l'omissione addebitata e l'evento".


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