Sanità24

  • 05 Feb 2016
  • Project financing/1. Ospedale di Mestre da modello a problema: braccio di ferro Asl-privati sul canone

    di Alessandro Arona e Franco Tanel
  • Il doppio volto dell'Ospedale di Mestre: caso pilota (e modello) di project financing ospedaliero in Italia, prima, “buco nero” per le casse pubbliche, poi.
    Il nuovo ospedale è costato 230 milioni di euro, di cui 124 pubblici e 106 privati, ed è stato completato nel 2008. Prevede un canone annuo a favore dei privati di 72 milioni di euro, dunque alla Pubblica amministrazione costa in tutto, in 23 anni, 1.780 milioni di euro.
    L'ospedale dell'Angelo di Mestre un caso pilota in realtà lo rimane, ma di come non dovrebbe comportarsi una pubblica amministrazione nel costruire operazioni di concessione di costruzione e gestione.

    Un canone unico che non distingue la quota servizi dal canone di disponibilità che invece serve a ripagare gli investimenti (con maggiore spesa per Iva a carico della Asl per 46 milioni di euro); una quantità enorme di servizi affidati al privato, anche il laboratorio analisi (non avviene mai), che vincolano la Asl a tariffe alte e legate all'inflazione per 23 anni, quando il mercato consentirebbe oggi di spuntare prezzi molto più bassi; un piano finanziario (Pef) poco dettagliato e del tutto sbilanciato a favore dei privati; un Tir dell'equity (tasso interno del rendimento per l'investimento privato) del 21%, circa il doppio dei valori considerati congrui dal Cipe (e dagli studi di Veronica Vecchi, docente alla Sda Bocconi e consulente della Banca Mondiale proprio sulla redditività dei Ppp).

    Che la convenzione fosse del tutto sbilanciata a favore dei privati (i concessionari di Veneto Sanitaria finanza di progetto, Vsfp, e cioè la Mantovani - che all'epoca della firma aveva come Ad Piergiorgio Baita poi inquisito e condannato per le tangenti del Mose - Astaldi, Aerimpianti, Gemmo, Cofathec, Aps, Mattioli e Studio Altieri) lo pensa da un paio d'anni la Corte dei Conti, che ha in corso un'indagine per danno erariale, e anche i nuovi amministratori che guidano la Asl dal 1° gennaio 2013.

    Dopo un anno di indagine, nel 2014 aprono un contenzioso con il concessionario per rinegoziare il Pef e la convenzione. Il direttore generale Giuseppe Dal Ben e il direttore amministrativo Fabio Perina vorrebbero anzitutto distinguere il canone in due quote, cosa che gli esperti considerano del tutto corretta per meglio gestire il rapporto pubblico-privato nelle concessioni: una quota “di disponibilità”, che serve a ripagare l'investimento, da calcolare in modo da avere tassi di rendimento in linea con i mercato e un reale trasferimento del rischio operativo al privato, come impone la nuova direttiva europea del 2014; e una quota per i servizi, da calcolare in base ai servizi resi dal privato, e possibilmente non tale da “legare le mani” alla Pa per tutta la durata della concessione. Nel caso di Mestre, invece, lo studio dei nuovi amministratori evidenziava tariffe dei servizi riconosciute ai concessionari molto superiori a quelle che si potrebbero oggi spuntare lanciando gare sul mercato per pulizie, mense, sanificazione, gestioni impianti, etc. Particolarmente oneroso soprattutto l'outsourcing sul servizio diagnostica (laboratorio analisi).
    Il canone unico, fra l'altro, costringe la Asl a pagare l'Iva al 22%, mentre sul canone di disponibilità si paga il 10%, e sono decine di milioni di euro sprecati.
    La Asl di Venezia chiede anche al privato di far uscire alcuni servizi dalla concessione, ma i privati si oppongono su tutto difendendo il contratto firmato, ottenuto dopo una gara e firmato dagli allora amministratori.

    In sostanza i nuovi amministratori ritengono che circa il 20% del canone (72 milioni all'anno) sia ingiustificato, e dunque rinegoziabile.
    Si va all'arbitrato, che nel luglio 2015 respinge la richiesta di rescindere il contratto, avanzata dalla Asl, e di rinegoziare il “menu” dei servizi affidati al privato, ma approva la richiesta della Asl di applicare le due leggi di spending review, del 2012 (governo Monti) e 2015 (Renzi), per un taglio del canone del 10% complessivo, dunque 7,2 milioni su 72 all'anno, pari a 115 milioni di risparmio nei 16 anni residui di concessione.
    La Asl però voleva di più, e impugna l'arbitrato. Il contenzioso è ancora in corso, e né la Asl né i concessionari privati sono stati disponibili a raccontare i dettagli di questo braccio di ferro. Duro al punto di aver portato l'Azienda Sanitaria a ridurre unilateralmente i pagamenti delle fatture al concessionario VSFP per percentuali significative (ad esempio pagavano il 47% dell'importo per le pulizie o il 68% per la ristorazione dei dipendenti) pratica che è stata ritenuta non legittim a dai tre arbitri del lodo. I quali hanno però ritenuto praticabile uno sconto in linea con le leggi sulla spending review, il 10% totale, stabilendo fra l'altro che tale sconto poteva essere anche retroattivo: l'Ulss dunque avrebbe dovuto restituire al concessionario la differenza tra quanto liquidato e quanto ritenuto congruo dall'arbitrato, e non dunque l'intera cifra di contratto. Alla fine si trattava di restituire a Vsfp circa 40 milioni di euro, cifra che è stata però congelata, in attesa della chiusura del contenzioso legale.

    Insomma da qualunque parte la si guardi la vicenda è estremamente intricata: da una parte la Corte del Conti mette sulla graticola l'Ulss perché riveda il contratto con il rischio concreto, in caso contrario, di essere chiamata a rispondere di danno erariale, dall'altra il concessionario che non ci sta a rivedere un lucroso contratto liberamente sottoscritto tra le parti e ovviamente mette sul piatto la possibile richiesta di un maxi risarcimento danni.
    Nell'ottobre del 2010, quando già gli analisti più accorti sollevavano dubbi sull'effettiva convenienza economica di un simile contratto di project Piergiorgio Baita, allora vicepresidente della VSFP in una intervista ostentava sicurezza: « Se la Regione intende recedere dal project per noi va bene ci devono corrispondere però cash i 250-300 milioni che ci spettano e ce ne andiamo senza problemi» ben sapendo che una ipotesi del genere era una gatta da pelare insormontabile per le casse regionali.

    E dire che l'Ospedale dell'Angelo doveva essere il fiore all'occhiello della sanità veneta sotto tutti i punti di vista: modello finanziario e gestionale e architettura all'avanguardia per un nosocomio a misura di malato. Almeno su questo ultimo punto possiamo dire che è considerato una delle strutture sanitarie tecnologicamente più avanzate d'Italia. Aperto al pubblico nel maggio del 2008 dopo solo 4 anni di lavori, ha una superficie di 151.000 mq, 680 posti letto, ed è caratterizzato da una grande hall vetrata che è una sorta di grande giardino botanico. Proprio il microclima di questa hall ha dato in passato qualche grattacapo, trasformandosi d'estate in un vero e proprio forno, ma a parte questo, il giudizio sul complesso sanitario è positivo.

    A che prezzo però: oltre un miliardo e mezzo di euro nell'arco dei 24 anni di concessione.