Aziende e regioni

Regioni in piano di rientro: la libertà (frenata) di legiferare

di Ettore Jorio (Università della Calabria)


Nel Paese, meglio in qualcuna delle otto Regioni in piano di rientro e prevalentemente in quelle commissariate, obbligate a riparare alla loro sanità ammalata, si sta ingenerando una confusione sull'esercizio del potere legislativo dei Consigli regionali, con conseguente compressione di tale potestas. Il motivo risiederebbe, secondo alcuni, nella lettera del comma 95 dell'art. 2 della legge 191/2009, la c.d. Finanziaria per il 2010. Una conclusione cui si è pervenuti a seguito di una lettura disattenta, perché se così non fosse si rischierebbe di sostenere un assurdo giuridico, quello di ritenere ammissibile che è data facoltà al legislatore ordinario di modificare, con proprie leggi, la Costituzione. Meglio, di comprimere, sino ad escluderla, l'efficacia dei suoi precetti fondanti, arrivando persino a cancellare l'autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni.

Genesi di un equivoco. L’anzidetto comma 95 , nel ritenere vincolanti, per le Regioni interessate al risanamento della sanità, gli interventi fissati nel piano di rientro, di cui al comma 180, art. 1, della legge 311/2004, dispone che la Regione «è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro». Ad una tale disposizione ne è seguito - a causa di una lettura sommaria, mal collaborata dalla superficialità di non dare la necessaria importanza alla punteggiatura, ma soprattutto nell'ignorare la gerarchia delle fonti del diritto - un più generale errato comportamento istituzionale.

Più precisamente, si è ritenuto (in Calabria e non solo) che un tale precetto, non solo imponesse, com'era ovvio che fosse, ai Consigli regionali di approvare nuove leggi che rimuovessero ogni ostacolo al corretto esercizio del piano di rientro, ma che interdicesse del tutto ai medesimi l'ordinario esercizio legislativo. Così non è, come del resto non poteva essere stante i principi dettati dalla Carta in tema di esercizio del potere legislativo, ed è lo stesso legislatore del 2009 a scriverlo esplicitamente, forse con qualche indecisione letterale che ha reso ai più disattenti lettori di capitalizzare una grave distorsione interpretativa.
Per l'esattezza, il legislatore del 2004, nell'imporre alle Regioni il necessario intervento collaborativo finalizzato a non contraddire e ostacolare le politiche di rientro convenute negli Accordi Governo-Regioni, ha sancito a carico delle medesime anche il tempestivo esercizio dei loro poteri di legislatore atti a rimuovere provvedimenti legislativi ostativi per il buon esito dei piani di rientro. Cosa diversa è quella riferita dallo stesso nel periodo successivo, quando il legislatore si è riferito, sic et simpliciter, ai provvedimenti, intendendo pertanto quelli amministrativi e ove mai regolamentari adottati dall'Esecutivo. Con un tale assunto ha semplicemente prescritto alle Regioni l'obbligo di non assumerne dei nuovi, che contrastino con quanto stabilito nei piani di rientro. Se così non fosse avrebbe potuto tranquillamente scrivere che le Regioni sono obbligate a rimuovere e ad adottare provvedimenti, anche legislativi, che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro. Così sarebbe stato diverso, ma comunque in contrasto con la Costituzione.

Da una corretta lettura sistematica del precetto esaminato deriva, pertanto, che i Consigli regionali (auto)impediti(si) sono (ri)abilitati a legiferare quanto vogliono in materia, così come d'altronde ha fatto correttamente, per esempio, la Regione Lazio. Quindi, libertà di legiferare in funzione del miglioramento del loro stato di salute lato sensu, senza con questo interferire negativamente sulla spesa sanitaria e sugli interventi di contenimento condivisi con il Governo e, in ogni modo, che non stravolgano o contrastino con il piano di rientro.


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