Aziende e regioni

Anche il nuovo federalismo ucciderà il Sud

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Un sistema della salute senza programma determina una organizzazione sanitaria destinata a non essere più tale. E' quanto sta accadendo nella sanità sottoposta ai piani di rientro, con prevalenza per quella commissariata. Il peggio lo si constata in Calabria.
I motivi di tutto questo risalgono a due errori storici. Il primo è stato quello di supporre, originariamente, che tutte le regioni fossero capaci di gestire per loro conto la sanità e non solo. La seconda è stata quella di non considerare lo stato di partenza, in termini di debito accumulato - spesso nascosto sotto la cenere sperando che poi sarebbe arrivato lo Stato a pagare il conto della maladministration dei gestori politici consentita dalla dabbenaggine degli elettori che l'hanno tollerata per decenni - e di povertà infrastrutturale di partenza. Due handicap cui ha dato soluzione, in (molto) colpevole ritardo di applicazione, il cosiddetto federalismo fiscale, con l'introduzione della metodologia di finanziamento fondato sul binomio costi/fabbisogni standard, assistito dalla perequazione ordinaria in favore delle Regioni più povere, garante della copertura delle spese “normali” al 100%, e la perequazione infrastrutturale. Una soluzione legislativa che se non la si vuole più occorre dirlo chiaramente invocando una ulteriore revisione costituzionale in riferimento all'art. 119 della Carta.

La diversità colpevole delle Regioni
In relazione alla diversità colpevole delle Regioni è sotto gli occhi di tutti l'abnorme diversità assistenziale garantita da alcune regioni (troppe) rispetto al resto del Paese, generatrice di una mobilità passiva che affoga, per esempio, la Calabria, di oltre un quarto di miliardo di euro l'anno, solitamente “evaso” nella determinazione del rispettivo deficit annuale di funzionamento. Un problema al quale la revisione costituzionale del 2001 (art. 116 Cost.) - così come quella in corso di approvazione definitiva a cura delle Camere che sarà soggetta a referendum confermativo per difetto di conseguimento del consenso della maggioranza assoluta dei componenti - offre la soluzione di un ampio esercizio del federalismo asimmetrico, che consente alle Regioni più efficienti di ampliare la loro competenza legislativa. Un ampliamento di potestas che, a seguito della revisione in itinere, consentirà un sensibile ampliamento di autonomia legislativa delle Regioni anche nella definizione delle disposizioni generali e comuni afferenti alle politiche sociali. Un modo, questo, per fare correre più avanti le autonomie regionali che ci sanno fare che vinceranno per lungo distacco su quelle incapaci nel percorso di garanzia dell'esigibilità delle prestazioni socio-sanitarie. Non solo. Si renderanno, a danno di queste ultime, destinatarie di una continua e progressiva “importazione delle risorse dell'inefficienza”. Quella mobilità attiva che ha assicurato, per esempio, alla Lombardia, entrate “straordinarie” complessive di oltre mezzo miliardo di euro sottratte soprattutto a quelle commissariate. Il tutto alla faccia della autonomia finanziaria degli enti territoriali, garante dell'esercizio delle funzioni fondamentali e dell'erogazione delle prestazioni essenziali. Un assunto che sta dietro al neointrodotto principio costituzionale del concorso obbligatorio del sistema autonomistico di assicurare l'equilibrio del bilancio della Repubblica e la sostenibilità del debito pubblico.

Il rischio di una sanità negata
A ben vedere, un servizio sanitario che:
- da una parte, rema contro la costituzione cosiddetta economica e dei rapporti sociali, garante del costante disequilibrio e della non tutela del diritto alla salute;
- dall'altra, perde sempre di più la caratteristica unitaria sistemica di nazionale per assumere una peculiarità asistemica, fondata sulle efficienze/inefficienze regionali, nel senso di essere sempre caratterizzato da una resa a macchia di leopardo, ove la macula diventa sempre più rada, tanto da rendere i territori e le popolazioni diseredate dei diritti di cittadinanza sempre più ingombranti, sì da coinvolgere in negativo circa trenta milioni di cittadini. Guarda caso quelli sottoposti a piani di rientro, destinati a crescere sensibilmente (Chiamparino, docet). Per non parlare di quelle commissariate che vanno di male in peggio, supponendo di prendere in giro le collettività interessate - che costituiscono la migliore clientela per miliardi di euro di quelle efficienti, che fanno della mobilità attiva uno dei punti di forza del loro progetto “industriale” della salute - dimostrando sedicenti miglioramenti economico-patrimoniali peraltro (non) ottenuti a tutto svantaggio del servizio reale sempre più precario e pericoloso per la salute dei cittadini. Su tutto, una sanità negata.
Un risultato conseguito da una errata politica di risanamento dei bilanci che fosse in linea con la certezza dei diritti di cittadinanza. Un po' come sta succedendo con gli enti locali e le Regioni ove si suppone di ottimizzarne il funzionamento consentendo loro l'ammortamento nel lunghissimo tempo (30 anni) dell'enorme debito accumulato verso il sistema delle imprese e non solo, prescindendo dai servizi che scadono, dal patrimonio in progressivo depauperamento.


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