Aziende e regioni

La Calabria, un matrimonio e tanti litigi

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

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24 Esclusivo per Sanità24

In Calabria, regione esempio più negativo dell'efficacia del commissariamento ad acta nella sanità, si sfida imprudentemente ancora una volta la Costituzione. Pare, questa volta, con la complicità dei Tavoli di verifica, nella specie quello Adduce (già Massicci). Quei Tavoli nei confronti dei quali andrebbero sollevate non poche responsabilità in relazione alla sanità che non funziona.
L'esempio è esemplare e sintomatico della confusione che regna nei commissariamenti ad acta, che vede coinvolte cinque regioni, quelle ove è davvero difficile percepire l'esigibilità dei Lea.

Il casus belli. In Calabria - più precisamente a Catanzaro - esistono una AO, denominata “Pugliese-Ciaccio”, e una AOU denominata “Mater domini”. Allo stato, a seguito delle legittime aspettative nutrite dall'Università Magna Graecia di rilanciare le sue performance di ricerca applicata, a tutto vantaggio della collettività calabrese, si sta prendendo in considerazione l'aggregazione delle due aziende della salute. Di conseguenza, si è scatenato il massimo della sanità “urlata, divisiva e competitiva” tra le istituzioni che su di essa esercitano, per legge, un ruolo: la Regione, il Commissario ad acta, i manager aziendali e chi più ne ha più ne metta metta. Intorno a tale “matrimonio” si sta così instaurando un clima manzoniano. C'è chi lo vuole e chi no, tanto da fare assumere alla vicenda le sembianze di uno spiacevole derby istituzionale.
A monte, si sta addirittura approntando una procedura francamente impropria, pare condivisa dai signori dei conti romani, perché fondata su un mero (super)provvedimento amministrativo di c.d integrazione delle due aziende..

Un assurdo giuridico per due ordini di motivi. Il primo è quello di sottovalutare la particolare specie che caratterizza le due aziende. In quanto tali in possesso di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale (checché ne dica ancora l'art. 7 della L.R. 11/2004 ove il legislatore redattore dell'epoca disconosceva le modifiche legislative statali intervenute cinque anni prima con il d.lgs. 229/1999, atteso che attribuiva ad Asl/Ao/Aou autonomia gestionale, che di per sé isolatamente non significa alcunché). Una disattenzione grave, pericolosa sia per il percorso di fusione da frequentarsi che per gli esiti civilisti e fiscali che da esso naturalmente deriveranno. Al riguardo, l'unico iter percorribile è quello disciplinato dal Codice civile, più esattamente nel Capo X, Sezione II, e quindi dagli artt. 2501 e seguenti.
Il secondo è quello di “ricordare” che entrambe le Aziende ospedaliere trovano la loro radice costitutiva dell'anzidetta legge regionale, da considerarsi norma di dettaglio dell'allora vigente d.lgs. 502/92. In quanto tale suscettibile di modificazione solo attraverso una nuova legge regionale, da doversi approvare in Consiglio regionale, al quale va riconosciuto necessariamente il suo specifico ruolo.
Al riguardo, è appena il caso di precisare che quella indicata è l'unica strada percorribile, costituzionalmente. La si dovrà intraprendere pertanto con intelligenza professionale, indispensabile per segnare la distinzione tra quanto riferito, anche recentemente, dalla Consulta in materia di esercizio della potestas legislativa da parte dei Consigli regionali delle Regioni commissariate. In proposito, sono state tante le interpretazioni, troppe.
In buona sostanza, la Consulta con i suoi incisivi interventi (ultimo dei quali con la sentenza n. 227/2015), oltre che a precludere (ovviamente) al commissario ad acta di abrogare ovvero modificare disposizioni legislative, ha precluso ai Consigli regionali di legiferare in contrasto con le regole fissate nei c.d. piani di rientro.
Con questo non ha affatto interdetto ai massimi consessi regionali l'esercizio del potere legislativo in materia sanitaria, tutt'altro, purché esercitato in conformità con il progetto industriale di riorganizzazione e potenziamento del SSR. Un divieto naturalmente esteso a tutte quelle fattispecie legislative che dovessero prefigurare incrementi di spesa corrente.
Dunque, ben vengano gli accorpamenti, a condizione che ci sia una legge che li approvi, e quindi un Consiglio regionale che lo voglia, al lordo delle procedure da seguire. Non solo. Che tutti i decisori, nessuno escluso, li condividano in un Accordo certamente da rinegoziare con il Governo.


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