Aziende e regioni

Le stelle dell’ospedale pubblico

di Marco Trabucchi (Università di Roma Tor Vergata)

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24 Esclusivo per Sanità24

Sono stato da poco operato per l’inserzione di una protesi inversa alla spalla, per riparare i danni di una rovinosa caduta; ho chiesto alla cortesia del direttore di poter esprimere un punto di vista diverso da quelli sui quali ho scritto molte volte su questo giornale. Non per descrivere l'aspetto tecnico della vicenda, ma per riassumere le impressioni sull'organizzazione ospedaliera di un medico che per la prima volta si trova “dall’altra parte”.
Premetto che professionalmente è stata un'esperienza molto rilevante, per i motivi che provo a schematizzare, seguiti da qualche commento. 1. La tecnologia nelle sue varie declinazioni ha fatto progressi enormi, che la medicina non ha certo potuto emulare in questi anni. Mi chiedo se l'ospedale del prossimo futuro sarà solo chirurgico-interventistico-diagnostico (ad alto costo) e se la componente internistica non debba invece essere esercitata in strutture meno costose, diffuse nel territorio, anche non in regime di ricovero. 2. Il paziente in ospedale ha spesso paura, scruta negli sguardi dei medici e del personale messaggi non verbali che possano indicare la propria condizione di salute. Commento: la serenità del personale è spesso difficile da raggiungere, a causa dei gravi motivi che stanno sempre più emergendo in questi tempi, ma è indispensabile, non per buonismo, ma perchè è noto -sulla base di un'ampia letteratura scientifica- il rapporto tra tranquillità psichica dell'ammalato e risultati di salute, anche in chirurgia. 3. Il paziente in ospedale, in particolare in ambito chirurgico, è spesso colpito da forti dolori. La mia esperienza è stata di un'attenzione accuratissima da parte di tutto il personale verso la mia sofferenza. Se le grandi campagne su “l'ospedale senza dolore” avessero raggiunto in tutte le realtà italiane questi livelli di efficacia, il nostro sarebbe un paese civilissimo. Ho in particolare apprezzato il bilanciamento tra i vari analgesici, con un uso prudente, ma determinato degli oppiacei, con risultati soggettivamente ottimi. Il tutto è il frutto di studio, formazione, sensibilizzazione; le informazioni richiestemi sul livello di dolore somatico non avevano mai nulla di ripetitivo. 4. Il paziente in ospedale si sente privo di ogni potere: il consenso informato è una vicenda burocratica che nulla incide sul vissuto di impotenza. È difficile delineare indicazioni utili a ridurre questa condizione; posso però dire -forse in modo politicamente poco corretto- che nel mio caso un atteggiamento di paternalismo responsabile da parte dell'ortopedico ha permesso di trasformare la sensazione di impotenza in quella di fiducia che volentieri rinuncia a gestire la propria condizione. Però il “paternalismo responsabile” è oggi permesso dalle prassi burocratiche vigenti? 5. Il paziente in ospedale si sente solo; anche se nel mio caso ero circondato dalla presenza attiva ed affettuosa di colleghi ed allievi, la solitudine è sempre in agguato. Forse su questo aspetto non c'è nulla da fare, anche se l'apertura dell'ospedale alle presenze esterne di famigliari e conoscenti deve essere concessa al massimo, con una visione non difensiva di spazi e tempi (per chi crede, anche l'assistenza religiosa, oggi quasi scomparsa, potrebbe avere un ruolo). 6. Il paziente è sensibile alla cortesia formale, alle attenzioni, alla qualità degli ambienti; il reparto nel quale sono stato operato era nuovissimo e quindi più facile da gestire, però la gentilezza del personale fa parte dalla “cultura” del luogo, che si acquisisce nel tempo, sopratutto attraverso l'esempio. Se il primario è brusco e scortese come si può pensare ad un'atmosfera di serenità diffusa? Forse anche questa è un'affermazione poco corretta politicamente, ma realistica, sebbene non vi siano strumenti di rilevazione della cortesia... nonostante le indagini sulla customer satisfaction. 7. Alla dimissione le informazioni ricevute sono state chiare, per ogni aspetto del mio futuro sulla base di una lettera molto accurata (farmaci di vario tipo e funzione, tempi e modalità della riabilitazione, controlli programmati, ecc.). Sappiamo bene, purtroppo, quanto sia difficile, in molti luoghi, per il paziente e la sua famiglia ricevere informazioni tempestive, chiare, adeguate. Perchè i responsabili delle direzioni generali non controllano con attenzione questi aspetti non certo marginali?.
Per opportunità non comunico il nome dell'ospedale dove sono stato operato, ma se per caso l'ortopedico o altri professionisti che mi hanno preso in cura leggessero queste righe facilmente capirebbero quanto è stato “terapeutico” il loro lavoro. Per me e certamente per migliaia di altri cittadini!


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