Aziende e regioni

Calabria, le forzature del commissario sull’assistenza ospedaliera

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

Con il decreto 30/2016 il nominato Commissario ad acta per la sanità calabrese ha riprogrammato l’assistenza ospedaliera regionale. Così facendo ha modificato quanto deciso in proposito con una apposita legge regionale del 2004, la n. 11. Lo ha fatto, ovviamente, con un atto amministrativo, atteso che al medesimo non è consentito adottare provvedimenti legislativi, perfezionabili dal Parlamento e dai Consigli regionali, nonché dal Governo a mente degli artt. 76 e 77 Cost. Un assunto che la Corte costituzionale ha ribadito unanimemente e ripetutamente (sentenze nn. 361/2010, 278/2014 e 227/2015), sancendo che al commissario ad acta è interdetto l’esercizio della potestas legislativa.

Ad una tale macroscopica violazione si è arrivati per due ordini di motivi:
a) una errata interpretazione della lettera contenuta nella Finanziaria per il 2010 (L. 191/2009, art. 2, c. 83), che facoltizzava il commissario ad acta ad adottare tutte le misure indicate dal piano, nonché gli ulteriori atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o, comunque, correlati e necessari alla completa attuazione del piano. Uno scivolone non di poco conto quello di ritenere compresi negli atti normativi anche quelli legislativi, impediti al Commissario ad acta, al quale tutt'al più è dato di adottare provvedimenti di tipo regolamentare (Consulta dixit);
b) l’inconsapevolezza, grave per un commissario governativo, che in Calabria (così come in Abruzzo e Molise, ove i rispettivi Tar hanno già annullato provvedimenti commissariali analoghi a quelli del commissario calabrese) - diversamente come avvenuto nelle altre 16 Regioni e nelle due province di Trento e Bolzano - la programmazione vigente fosse stata approvata con provvedimento legislativo.

Due vizi che hanno fatto sì che il provvedimento commissariale fosse inidoneo a produrre gli effetti voluti. Ciò in quanto viziato da incompetenza assoluta, da una inaudita violenza esercitata nei confronti della Costituzione, da violazione e falsa applicazione delle leggi e dei regolamenti attuativi (D.M. 70/2015) nonché da eccesso di potere, sotto i diversi profili del difetto di motivazione, erroneità dei presupposti, illogicità e contraddittorietà manifesta. Il tutto, tradotto nella volontà di fare saltare quel poco di assistenza che in Calabria è appena residuata, ridotta al di sotto nel minimo vitale a cura di una politica sanitaria che non c'è mai stata e da un’assenza di reale interesse del Governo a garantire ai calabresi quanto la Costituzione garantisce altrove.

Quanto accaduto non poteva passare, quindi, esente da impugnativa avanti al Magistrato amministrativo a cura dei Comuni più sensibili alla salute delle loro collettività, primi fra tutti quelli di Corigliano Calabro, San Giovanni in Fiore, Acri, Cetraro e Mormanno.
Un interesse pubblico da proteggere - nell'occasione stranamente trascurato processualmente dalla Regione stessa, peraltro in continuo conflitto di attribuzioni con il nominato commissario ad acta, Massimo Scura - nei confronti del quale tantissimi Sindaci hanno deciso di chiedere giustizia. Un provvedimento, strappato alla competenza democratica del Consiglio regionale, il solo a potere modificare un proprio provvedimento legislativo. Non solo. L'unico organo chiamato, costituzionalmente e statutariamente, a rappresentare e decidere in relazione alla programmazione sanitaria, quando questa è legificata. Fare il contrario significa altresì comprimere la volontà dei calabresi espressa attraverso la democrazia elettiva alla quale, in via mediata, non è dato costituzionalmente sottrarre il potere di decidere dei propri diritti sociali primo fra tutti quello alla salute.


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