Aziende e regioni

Calabria, perle commissariali

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

In nessuna delle Regioni commissariate accade quanto in Calabria. Per ciò che ivi si registra, il commissario ad acta è diventato qualcuno. Nelle altre il grande pubblico non conosce neppure il nome del commissario, figuriamoci del sub.
Ciò avviene per due ordini di motivi, entrambi sintomi della inadeguatezza sia del binomio commissariale che dei Tavoli, che dimostrano ancora una volta non solo la loro inutilità ma anche le attenzioni che le sanità disastrate meriterebbero.
Motivi. Il primo è che il commissario non mette in inventario che l'assetto del sistema ospedaliero calabrese (come quello molisano e abruzzese) è stabilito con legge del 2004. Il secondo, che suppone che nelle regioni commissariate si possa prescindere dalla programmazione partecipata, con i sindaci messi alla porta. Due errori madornali, cui il Governo è costretto a rimediare pena l'abbandono della Calabria!

Il commissario Scura torna sul luogo del delitto
Lo fa con il DCA 64/2016 con il quale concretizza l'ulteriore maldestro tentativo di riordinare il sistema ospedaliero calabrese. Fa di peggio con il DCA 63/2016 attraverso il quale ipoteca, male e per un triennio, la sanità calabrese.
In buona sostanza, il commissario ad acta con il novellato suo provvedimento (n. 64) introduce il gioco macabro di rompere anche quel po' di filiera assistenziale ospedaliera che c'era, attraverso un atto punitivo e destabilizzante. Un fatto di una gravità assoluta, attesa altresì l'assenza totale della rete di assistenza territoriale, non presa dal commissario ad acta neppure in considerazione.
Il suo lavoro si estrinseca, tra l'altro, con provvedimenti assunti in una perenne conflittualità con il presidente della Regione e senza tenere nel debito conto il contributo propositivo dei sindaci (addirittura inascoltati!) e degli operatori interessati, autentici interpreti del bisogno di salute espresso da quel territorio sofferente a causa del sistematico abbandono.
Così facendo non perde l'occasione di mettere nei guai la Calabria, i calabresi e quei pochi turisti che hanno ancora il coraggio di frequentare la regione, intimoriti più che mai dalla programmata caduta dell'offerta dell'emergenza.
Per fare tutto questo usa tutti gli strumenti a sua disposizione sino ad arrivare a espropriare, in spregio alla Costituzione, quelli di competenza altrui, specie nel determinare cambiamenti radicali alla programmazione. I «vizi» del commissario ad acta.

Insano esercizio dei poteri
Suppone di possedere la facultas di cambiare la configurazione dei presidi che fanno la cifra dell'assistenza ospedaliera in Calabria, stabilita con legge dal Consiglio regionale nel lontano 2004. Un sistema, il nostro, che può essere riorganizzato solo per il tramite di un analogo provvedimento di rango legislativo, in quanto tale interdetto al commissario di Governo, abilitato ad emettere atti amministrativi e tutt'al più regolamentari. Un tentativo maldestro perché, peraltro, assunto nella consapevolezza che la gran parte delle strutture operanti nella spedalità sono sprovviste, non solo dei requisiti dettati dal DM 70/2015 (che fa tremare i polsi a tutti i sistemi regionali), ma addirittura di quelli ritenuti obbligatori per il rilascio dell'accreditamento istituzionale, del quale la quasi totalità dei presidi pubblici calabresi sono privi. Il suo primario compito sarebbe, per l'appunto, quello di rendere la filiera dei presidi pubblici muniti dei requisiti minimi e ulteriori richiesti, rispettivamente, per l'autorizzazione all'esercizio e l'accreditamento, pena la loro immediata chiusura. Non farlo, significa tollerare colpevolmente (è gravissimo!) una sanità che eroga prestazioni in una sorta di «abusivismo» strutturale.

Contraddizioni evidenti
Litiga con se stesso contraddicendosi apertamente. Invero, da una parte, usurpa i poteri del Consiglio regionale di riorganizzare il sistema ospedaliero pubblico e, dall'altro, nega esplicitamente la sua competenza legislativa nel neodisciplinare il c.d. percorso delle «3 A» (autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali), anch'esso funzionale a ottimizzare il sistema della salute calabrese. Questa è la prova che il Nostro esercita il suo ruolo sostitutivo in modo chiaramente dissociato. Per un verso, infatti, approva ex se i più importanti atti di organizzazione della salute in Calabria (programma operativo triennale e riordino ospedaliero), senza peraltro stimolare ogni utile confronto partecipativo, supponendo di potersi sostituire per l'occasione al Consiglio regionale. Per un altro, predispone un DDL (DCA 83/2015), per l'appunto, sulla disciplina dell'autorizzazione, dell'accreditamento e degli accordi contrattuali e lo sottopone - così come vuole la vigente regolazione - all'esame del Consiglio regionale perché lo stesso lo valuti, lo emendi, se del caso (certamente in relazione alle gravi incertezze civilistiche che il testo presenta), e lo approvi. Il tutto sotto la «minaccia», di informare il Governo che lo sovraintende in caso di inerzia legislativa.

Delle due, una!
Incomprensibili astensioni contrapposte ad una illegittima espropriazione dei ruoli.
Non rivendica e presta, stranamente, quiescenza alle nomine dei direttori generali e dei commissari preposti alla gestione delle Asl e Ao, effettuate (debitamente?) dalla Giunta regionale e formalizzate con decreti del suo Presidente. Una stranezza che appare più palese se messa in relazione alle inconcepibili trattative svolte dal Nostro sul tema dell'aggregazione della AO di Catanzaro e la AOU Mater Domini. Un percorso che deve rintracciare nella politica la condivisione da sintetizzare in un apposito provvedimento legislativo. Un assunto, quest'ultimo, condiviso solo in extremis dal commissario ad acta dopo avere, per tanto tempo, sostenuto che l'auspicata integrazione poteva perfezionarsi semplicemente con un suo super decreto. Un brusco cambio di «marcia» (anche del Tavolo Adduce) registrato a seguito delle osservazioni critiche pubblicate sull'argomento su IlSole24Ore-Sanità e su questa rivista.

Incongruenze specifiche
Coltiva, da un lato, la «presunzione» di legiferare la riorganizzazione ospedaliera e, dall'altro, omette di produrre in proposito l'unica cosa che è ad essa propedeutica, peraltro di sua stretta competenza. Non assiste, difatti, il suo progetto con la necessaria programmazione economica, dimostrativa dei costi relativi, della convenienza e della stretta funzionalità della stessa al perseguimento degli obiettivi fissati ex lege nel piano di rientro, meglio del progetto di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del SSN.
Non è infatti dichiarato quanto costa, a fronte di quale utilità, e quanto sia utile economicamente al risanamento e alla erogazione più appropriata del relativo livello di assistenza ospedaliera.

Difetto assoluto dei naturali presupposti tecnici
Dispone la riprogrammazione triennale e il riordino ospedaliero senza che gli stessi siano suffragati dal rilevamento del fabbisogno epidemiologico messo in stretta relazione con la geo-morfologia del territorio calabrese e i con flussi turistici, dei quali non v'è traccia alcuna. Un deficit grave, reso gravissimo dall'uso indiscriminato che si fa dei parametri nazionali senza adattare la offerta assistenziale ove occorra per la cronica presenza di tanti anziani resi prigionieri da una rete stradale fatiscente. Un criterio ragionieristico che mette in pericolo la salute pubblica e che, in presenza di eventuali tragici eventi, non nuovi per la Calabria offesa da diverse morti colpevoli, arriverebbe a fare risalire all'attore monocratico di oggi anche le relative responsabilità penali.


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