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Malati rari crescono in ricerca, stentano in equità d’accesso. Il punto nel 2° Rapporto MonitoRare

di Barbara Gobbi

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Il numero complessivo delle persone con malattia rara in Italia è stimato tra le 450mila e le 670mila. Una forbice ampia, che la dice lunga su uno dei tanti gap che ancora caratterizzano il pianeta delle patologie orfane nel nostro Paese: l’ancora scarsa copertura, in particolare in alcune aree geografiche, dei registri regionali delle malattie rare, la cui incompletezza si ripercuote, com’è ovvio, sul Registro nazionale. Questa è una delle informazioni messe in evidenza dalla II edizione del Rapporto MonitoRare sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia, presentato a Montecitorio da Uniamo, Federazione italiana malattie rare Onlus, e realizzato con il supporto non condizionato di Assobiotec. Appuntamento che segue o s’interseca con almeno tre eventi parlamentari e istituzionali di rilievo: l’approvazione della legge sul “Dopo di noi”, la presentazione della Pdl per l’inserimento lavorativo delle persone con malattia rara (prima firmataria l’onorevole Paola Binetti) e il necessario via libera al Dpcm di aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, che aggiorna l’elenco delle malattie rare e istituisce lo screening neonatale esteso per le malattie metaboliche ereditarie.

In generale, il Report dimostra come l’attenzione alle patologie orfane stia aumentando. Lo documentano intanto i dati sulla ricerca, con una crescita degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare dai 117 del 2013 (20,1%) ai 160 del 2015 (23,5%). Poi, lo sviluppo continuo delle bio-banche: sono quasi 106mila i campioni biologici conservati nelle 11 bio-banche afferenti al Telethon Network of Genetic biobanks rispetto ai poco più di 78mila del settembre 2012. Aumenta il numero dei farmaci orfani complessivamente disponibili: a fine 2015 erano 66 (il 75,9% deglsi 87 autorizzati dall’Ema). Aumentano anche, del 10% in quattro anni per arrivare a 2.716 nel 2015, le associazioni di malattia rara censite sul sito di Orphanet.

Restano però dei gap profondi, che la Federazione non manca di rilevare nel Report. Intanto - sottolineano da Uniamo - non è mai stato costituito il Comitato nazionale, rappresentativo di tutti i diversi portatori di interesse del settore, che avrebbe dovuto sovraintendere allo sviluppo del Piano/Strategia nazionale per le malattie rare. E dello stesso Piano, in scadenza proprio quest’anno, non pare si stia pensando a una nuova edizione. La formazione, considerata pilastro della diffusione di una cultura delle patologie orfane, dà il suo meglio soprattutto in “best practice” limitate, come la Fad promossa dall’Irccs Bambino Gesù di Roma in collaborazione con l’Accademia nazionale di Medicina di Genova. Ma se si guarda la disponibilità di corsi Ecm, appare chiaro come siano possibili «ampi spazi di miglioramento».

Ancora: i pazienti hanno voce grazie al sito italiano di Orphanet, che vede crescere il numero di visitatori, e al Telefono Verde malattie rare dell’Iss che nel 2015 ha registrato circa 1.600 contatti con i pazienti. Ma quello che sovente viene a mancare sono il “contatto” e l’assistenza in loco. Là dove persone che attendono una diagnosi, malati e famiglie hanno più bisogno di guida, ascolto e indirizzo. Sui Centri di competenza - avvertono infatti da Uniamo - «la situazione delle Regioni è abbastanza diversificata»: sia a livello numerico per milione di abitanti - si passa da 1,8 centri della Regione Sicilia a 12,8 del Molise, a fronte di una media nazionale di 3,8 - sia per criteri utilizzati nella definizione e nelle modalità di individuazione dei centri. Inoltre: lo screening neonatale delle patologie metaboliche ereditarie sottoposte a screening neonatale esteso non è affatto omogeneo sul territorio nazionale: oggi, in regime extra Lea, le Regioni effettuano lo screening su un numero variabile tra 1 e 58 malattie metaboliche e quasi sempre si tratta di progetti pilota che non includono tutti i neonati. Anche se va detto che la copertura dello screening nel complesso è aumentata di oltre il 13% in un biennio, per arrivare al 43,1% delR 2014. I Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (Pdta), grande sfida di ogni approccio alla cronicità, sono ancora da costruire in metà delle Regioni e questo dato la dice lunga sulle carenze ancora evidenti nella presa in carico. E l’eterogeneità, anche nelle più “virtuose” Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna, la fa da padrona.


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