Aziende e regioni

Sanità calabrese simbolo del peggio

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

La Calabria (come al solito) è il simbolo di ciò che si fa di peggio. Tra qualche anno, la sua sanità rappresenterà un fenomeno (negativo) da studiare. Ciò in quanto, indipendentemente dalle maggioranze che si sono alternate, ognuna ha dato del suo per consolidare, spesso, lo stato generativo di pericolo.

Come in ogni specie di attività, il decisore pubblico ha il dovere di mettere a disposizione del Sistema, cui il medesimo è preposto, ciò che serve per fare «impresa», secondo quanto dettato dalle leggi che regolano la specifica materia. Un rispetto ineludibile delle norme che nella sanità fa la differenza tra il prevenire e non gli eventi morbosi, tra salvare e uccidere o quantomeno mettere in pericolo la vita altrui.

Sul tema, in Calabria si gioca a fare malissimo le leggi, arrivando a violare i più elementari principi costituzionali e quelli fondamentali sanciti dal legislatore statale.

È quanto è accaduto, rispettivamente:
- con le numerose leggi regionali bocciate dalla Consulta per essere invasive dello stato commissariale del Ssr;
- per esempio, con la legge regionale n. 11/2004, tutt'oggi in vigore, che faceva riferimento a principi legislativi nazionali risalenti al 1992, senza tenere conto che gli stessi erano stati superati dal c.d. decreto Bindi nel 1999;
- con l'impossessamento arbitrario del Commissario ad acta della potestà legislativa attribuita costituzionalmente al Consiglio regionale.

Episodi inauditi che in Calabria rappresentano la norma in senso stretto.

Tutto questo pressapochismo ha contribuito a generare un continuo stato di emergenzialità fine a se stesso. Uno stato commissariale, ex art. 120 Cost., quello in vigore (2010 ad oggi), che ha fatto seguito a quello precedente - l'unico nel Paese con riferimento alla organizzazione della salute - di commissariamento della sanità calabrese esercitato dalla protezione civile (2007-2009), nel corso del quale si è, tra l'altro, posto qualche rimedio alle continue morti innocenti dell'epoca e inventariato il debito pregresso, sino a quel tempo sconosciuto.

Malgrado questi interventi sostitutivi di una Regione inefficiente, e nonostante le sollecitazioni rappresentate in tal senso dal precedente commissario di protezione civile, il sistema sanitario pubblico calabrese continua a erogare prestazioni nell'assoluta mancanza di rispetto delle leggi poste a tutela della portata delle medesime. Un fatto di una gravità inaudita, che sembrerebbe essere vissuta anche in altri ambiti regionali commissariati e non.

Una violazione gravissima sulla quale i Tavoli romani chiamati a esercitare periodicamente i dovuti controlli glissano, così come fanno finta di niente tutti coloro che sono istituzionalmente chiamati a collaborare e/o ad effettuare le verifiche. Insomma tutto tace, in un clima di complicità generale nonostante la messa in pericolo della vita dei cittadini.

Tale violazione riguarda lo status delle strutture pubbliche dedicate ad assicurare il livello essenziale di assistenza ospedaliera. Invero, tutti i presidi destinati a ciò - fossero anche riferibili ad aziende ospedaliere, in quanto tali tenute a particolari preventivi riconoscimenti propedeutici alla loro costituzione - pare che siano tutti sprovvisti dei requisiti previsti dalle leggi nazionali e regionali per l'accreditamento istituzionale. Spesso anche di quelli individuati come obbligatori, pertanto minimi, per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività relativa. Un'assenza di requisiti obbligatori, in quanto tali assolutamente impeditiva dell'esercizio dell'attività socio-sanitaria, quantomeno sotto l'effigia del Ssr, sulla quale chi ha l'obbligo di vigilare ed eccepire evita da anni di esercitare il proprio dovere.

In un momento come quello attuale, ove ciascuno si sbraccia e urla il rispetto delle norme e delle cautele antisismiche, così come avviene all'indomani di ogni catastrofe, una tale precarietà diventa più allarmante del solito, tanto da imporre i necessari interventi.
Esistono, infatti, precisi divieti di esercizio per le strutture sprovviste dei minimi requisiti richiesti, in relazione al quale si registrano tolleranze colpevoli produttive di reato, a nulla valendo - in proposito - possibili strumentali e reiterate proroghe disposte con i provvedimenti più disparati.

Un problema gravissimo del quale, tuttavia, non importa ad alcuno atteso che a nessuno viene in mente di evidenziarlo e conseguentemente rintracciare, come priorità assoluta, gli investimenti necessari per assicurare i requisiti organizzativi (naturalmente impediti dal blocco del turn over), tecnologici e strutturali indispensabili per erogare le prestazioni essenziali nelle strutture pubbliche, altrimenti fuori gioco.

In tutto ciò si evidenziano una grave responsabilità della politica, che non fa cosa deve fare «per mestiere», e dei commissari che non adempiono ai loro obblighi legislativi, determinando uno stato di pericolo per i cittadini. Così facendo si facilita, tra l'altro, l'esercizio dell'attività degli erogatori privati. Questi sì, in possesso di ciò che occorre per fare affari. Chissà! A pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si indovina.


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