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Neo-specializzati “taglia liste”, Saitta (Piemonte): «Solo un’idea, è ancora tutto da decidere»

di Lucilla Vazza

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24 Esclusivo per Sanità24

Tutti ne parlano, qualcuno si è già scagliato contro, ma in verità della proposta lanciata ieri da Saitta di far lavorare i medici neo-specializzati del Piemonte nelle strutture regionali a smaltire le liste d’attesa e a potenziare le cure territoriali, non vi è ancora traccia. È un’ipotesi tutta da verificare, tutta da decidere. Lo spiega ai nostri microfoni il diretto interessato, l’assessore alla Sanità piemontese Antonio Saitta. E innanzitutto chiarisce che l’idea non è dell’assessorato ma dell’università, o meglio del preside della Facoltà di Medicina a Torino, Ezio Ghigo.

«È una proposta dell’Università di Torino, il preside di Medicina, Ghigo verso la fine dell’anno mi è venuto a trovare e, parlando del problema delle liste d’attesa, ci ha spiegato che ci sono i neospecializzati che potrebbero, e sottolineo su base volontaria, essere utilizzati con l’obiettivo di ridurre le liste d’attesa. Del resto sono persone molto formate, hanno lavorato negli ospedali, hanno terminato la specializzazione e quindi possono essere utilizzate per lo meno per tutte quelle prestazioni di media e bassa complessità».

Rischio perdita competenze
In pratica, per l’assessore si tratta di professionisti che «impiegano almeno un anno, due anni per essere assunti in modo definitivo e nel frattempo fanno “lavoretti” in giro, fanno qualche turno, vanno nelle case di riposo, fanno un po’ di prelievi ecc. e così passano due anni a non esercitare più quelle competenze che hanno accumulato nel lungo percorso della formazione e specializzazione. Insomma si potrebbe fare un’intesa tra Università di Torino e Regione Piemonte per decidere come potrebbero essere utilizzati in funzione degli obiettivi che la Regione si sta prefissando sul tema delle liste d’attesa.

Ma quale sarebbe poi la modalità del carattere giuridico di questo progetto?
Il tema dei “gettoni” non esiste. Bisogna trovare una modalità tra Università e Regione Piemonte in modo che siano date tutte le garanzie necessarie. È chiaro che si tratta di un lavoro a termine, in funzione dell’abbattimento delle liste d’attesa. Ancora questa questione deve essere esaminata. Non c’è una proposta definitiva, c’è un’idea dell’Università di Torino, che ho trovato interessante per i giovani. Per utilizzarli e non far perdere loro le competenze acquisite. Quindi dobbiamo iniziare a lavorarci. Non c’è niente più di questo allo stato attuale.

Come li paghereste questi giovani medici?
È tutto da vedere, non è che ci mettiamo a utilizzare i voucher. Siamo un’istituzione pubblica, ho chiesto all’università di studiare una forma di borsa di studio o qualcosa del genere.

L’idea nasce esclusivamente dall’Università, ma già i giovani medici da più parti si sono scatenati contro quest’idea “non siamo tappabuchi”...
Innanzitutto non sarà obbligatorio partecipare a questo progetto. Poi, per smaltire le liste d’attesa abbiamo tre possibilità: aumentare il budget dei privati o aumentare l’orario di chi lavora oppure inserire qualcosa di nuovo. Se i giovani non ci stanno, allora dobbiamo aumentare il budget dei privati, così andranno a lavorare direttamente nel privato a tempo. È chiaro che vorrei aumentare le assunzioni, ma su questo potremo muoverci nei limiti che sono concordati a livello nazionale. Noi le assunzioni le faremo, ma è chiaro che le assunzioni a termine hanno un significato per quello che è strutturalmente contiguo, per situazioni legate a un tempo specifico.

Quindi, al netto delle polemiche che stanno montando in queste ore, andrete avanti con questa idea di coinvolgere i neo-specializzati?
Approfondiremo questa possibilità che è ancora tutta da definire. Io sono molto cauto. Capisco le resistenze, ma c’è un elemento di questo tipo: a livello nazionale avevo fatto una proposta. Chi fa la specializzazione lavora di fatto nella struttura sanitaria pubblica a tutti gli effetti, poi ci sono tutte le ipocrisie del caso, ma sappiamo che questi ragazzi fanno un gran lavoro, avevamo immaginato di prevedere che a un certo punto potessero, senza essere dirigenti medici, essere dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Che poi era il cuore della proposta di modifica dell’articolo 22 (del Patto della Salute), ma allora ho avuto tutti contro.

Quella che l’Univeristà ci propone è una proposta che non mi dispiace perché permette ai medici appena specializzati di rimanere in un ambito di alta qualità e di non disperdere le proprie competenze in lavori scadenti. Dobbiamo trovare la corretta forma giuridica per chi lavora nell’amministrazione pubblica. Non è una cosa che si può fare dall’oggi al domani, dobbiamo incontrare le organizzazioni mediche ecc. Il cammino è lungo, questa proposta non la trovo banale, ma è ancora tutto da decidere.


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