Aziende e regioni

Il paradosso della salute mentale: aumenta il disagio ma gli investimenti sono al palo

di Fabrizio Starace (presidente Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica)

Problemi di salute mentale rappresentano una sfida ineludibile che il sistema nazionale di sanità pubblica è chiamato ad affrontare. Pertanto, una stima affidabile del fabbisogno di salute mentale e le proiezioni della domanda attesa, costituiscono un elemento chiave per riuscire a calibrare e organizzare servizi efficaci e interventi economicamente sostenibili. Questo aspetto risulta particolarmente rilevante quando si tratta di sviluppare modelli operativi per prevenire, intercettare e trattare disturbi psichiatrici comuni (Dpc; in particolare disturbi depressivi e disturbi d’ansia), ovvero quelli più diffusi nella popolazione generale, che colpiscono le persone sul piano personale, relazionale e lavorativo. Purtroppo, come abbiamo più volte rilevato anche da queste colonne, il tema è largamente sottovalutato nel nostro Paese.

Allo scopo di stimare la prevalenza dei Dpc in Italia abbiamo analizzato i dati Istat raccolti nel corso di due principali indagini di popolazione. Sono stati considerati sia le informazioni derivanti dall’applicazione di un questionario di screening, sia quelle relative alla presenza di disturbi psichiatrici clinicamente diagnosticati.

La prima analisi è stata condotta sui dati ricavati dall’indagine Istat “Condizioni di salute e ricorso ai Servizi sanitari” del 2013, realizzata su un campione ampiamente rappresentativo di 72.476 individui di età compresa tra i 18 e i 64 anni. La popolazione a rischio di presentare un Dpc è stata valutata mediante l’indice di stato psicologico “Mental health component summary” (Mcs-12), derivato dal questionario SF-12. Il punteggio a questo indice (compreso tra 0 e 100: valori più bassi corrispondono a peggiori condizioni psicologiche) fornisce informazioni sui sintomi depressivi e ansiosi riscontrati nelle ultime 4 settimane. Secondo gli standard riportati in letteratura scientifica, le persone che presentano un punteggio minore o uguale a 40 hanno un’elevata probabilità di presentare un disturbo ansioso e/o depressivo. Applicando tale metodo, sono stati calcolati i tassi di prevalenza riportati nel grafico. A livello nazionale, la prevalenza di soggetti con alta probabilità di presentare disturbi ansiosi e/o depressivi è pari al 14,8%, con ampie variazioni regionali: dal 9,6% della Pa di Bolzano al 18,5% delle Marche. Se applichiamo il tasso nazionale alla popolazione generale italiana adulta, otteniamo un dato complessivo pari a 5.480.118 persone.

Nella stessa rilevazione, veniva registrato anche il numero di soggetti che, al momento dell’intervista, avevano una condizione di ansia e/o depressione diagnosticata da un medico. Si trattava di 1.703.033 individui, pari al 4,6% del campione.

Ulteriori informazioni emergono dalla Indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” effettuata annualmente dall’Istat, che raccoglie informazioni sull’auto-percezione dello stato di salute, la presenza di malattie croniche, gli stili di vita e l’utilizzo/consumo dei servizi. Nel 2016 la presenza di “disturbi nervosi” delle persone di età pari o superiore a 15 anni è stata riportata dal 4,5% del campione (corrispondente a 2.357.266 persone della popolazione generale).

Quali informazioni offrono ai decisori questi dati?
In primo luogo, occorre riflettere sulla diffusione dei problemi comuni di salute mentale rilevabili applicando strumenti di screening nella popolazione generale. Pur non essendo tout court riconducibile a un bisogno di natura sanitaria, il numero di soggetti con alta probabilità di presentare disturbi ansiosi e/o depressivi offre preziose informazioni sul grado di benessere/malessere della popolazione generale e ci consente di monitorare gli effetti sulla salute mentale di eventi e contingenze che riguardano l’intera comunità. A riprova di ciò si consideri la variazione rilevata tra la citata indagine Istat “Condizioni di salute e ricorso ai Servizi sanitari” del 2013 (anno in cui il Paese era attraversato in pieno dalla crisi economica) e la medesima indagine condotta nel 2005: in quest’ultima rilevazione la prevalenza stimata era pari a 12,5% (corrispondente a 4.588.089 persone della popolazione generale). In altri termini, negli anni della crisi ben 892.029 persone in più risultavano positive allo screening per problemi di salute mentale. A ciò non ha corrisposto, purtroppo, una maggiore attenzione agli interventi preventivi e di supporto cui ci richiamano le principali Agenzie sanitarie internazionali.

In secondo luogo, va sottolineata la sostanziale stabilità - nelle diverse indagini condotte - del numero di persone che riportano la presenza di disturbi psichiatrici. Si tratta di circa 2 milioni di soggetti, ai quali il sistema di cura per la salute mentale in Italia offre una risposta molto limitata. Se si considerano infatti i dati 2015 sull’attività dei Dipartimenti di Salute mentale del Ssn, si scopre che tra tutte le persone in contatto almeno una volta con i servizi di salute mentale, sono state 182.152 quelle che hanno ricevuto una diagnosi di depressione e 106.442 quelle per le quali è stata formulata una diagnosi di sindrome nevrotica o somatoforme. Complessivamente, quindi, i Dsm hanno visto 288.594 persone con questi specifici problemi, poco meno del 15% della popolazione che li riporta secondo le stime Istat. Evidentemente, molte persone vengono seguite unicamente dai medici di medicina generale, da altri servizi sanitari (ad es.: consultori, servizi di psicologia territoriali e/o ospedalieri) o da specialisti privati. Nella migliore delle ipotesi, ciò segnala l’assenza di una rete di connessioni reciproche tra i diversi settori del sistema di cura. Nella peggiore, questi dati pongono pesanti interrogativi sull’adeguatezza dell’offerta assistenziale, sulle barriere all’accesso, sulla reale capacità dei servizi pubblici di intercettare i disturbi psichiatrici comuni.

Crediamo che questi dati, e le informazioni che è possibile ricavarne, debbano divenire oggetto di riflessione e dibattito dal quale derivare decisioni di politica sanitaria volte a invertire il trend negativo e a superare quello che altrove abbiamo definito il “paradosso della salute mentale”, ossia la contrazione degli investimenti a fronte di un cospicuo aumento dei problemi di salute mentale nella popolazione.


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