Aziende e regioni

Cittadinanzattiva: lettera aperta per garantire a tutti e con equità l’accesso al Ssn

di Antonio Gaudioso (segretario generale di Cittadinanzattiva) e Francesco Clementi (docente di diritto pubblico comparato Università degli Studi di Perugia)

A quarant'anni dalla sua nascita, il Servizio sanitario nazionale non sta bene. Anzi, come molti degli articoli degli ultimi mesi hanno evidenziato, il suo “stato di salute” mostra tutte le difficoltà alle quali il nostro Paese sta andando incontro.
Abbiamo infatti un Paese sempre più diviso, frammentato, a più velocità. E non sono solo i dati di Cittadinanzattiva a certificarlo. Lo certificano pure le lunghissime liste d'attesa che in alcune regioni fanno in modo che i diritti restino spesso solo sulla carta, determinando drammaticamente la nascita di “percorsi paralleli” a quelli ufficiali, creati da chi, nel bisogno, cerca strade alternative per accedere ad interventi ed esami clinici, spesso fuori dalla sua Regione. E per ottenere ciò, in modo comprensibile anche se non condivisibile, è disposto davvero a tutto: per cui si arriva a casi come quello segnalato da Stella, da codice penale, ma anche a tanti altri casi - non meno gravi - di favori, vantaggi, raccomandazioni e di richieste tipiche, “da amici degli amici”, finalizzate a saltare, innanzitutto, le liste d'attesa.
Questo modo di comportarsi non è più tollerabile. Così facendo, infatti, da un lato si legittima la trasformazione di un diritto in una concessione e, dall'altro, la mutazione dei cittadini in sudditi (se non talvolta pure in delinquenti).

E' tempo, dunque, che si prenda atto, con piena responsabilità, di questa realtà, a maggior ragione ora che si sta allargando a vista d'occhio, coinvolgendo, in questa condizione di forte disagio, una parte non piccola del nostro paese, come è sostanzialmente l'intero meridione.
Il prezzo che si paga per godere di un diritto sull'intero territorio è diventato davvero troppo alto: con italiani che, in una condizione di cittadinanza di serie B, o sono costretti ad andare nel privato, pagando per ottenere servizi che in altre aree del paese vengono erogati dal servizio pubblico con standard dal punto di vista dei tempi e della qualità delle prestazioni spesso eccellenti, oppure “scelgono” direttamente di emigrare in quelle Regioni nelle quali, appunto, è possibile ottenere naturalmente quelle prestazioni negate loro, invece, dalle Regioni di origine.

Quale è l'effetto di tutto ciò? Tanto un'Italia divisa tra cittadini di serie A e di serie B in ragione della loro residenza, quanto il paradosso che le regioni da cui provengono i “migranti” della sanità pagano le prestazioni a quelle che materialmente le erogano. Così accade, ad esempio, che ogni anno la Regione Calabria paga somme ingenti alla Regione Lombardia per tutti quei calabresi che viaggiano per farsi curare in Lombardia.
Quousque tandem abutere, patientia nostra, si potrebbe dire? Fino a quando, insomma, si tollererà una sorta di “turismo sanitario” basato - banalmente ma anche drammaticamente - sulla necessità di trovare risposte a servizi non erogati o a servizi erogati con standard davvero scadenti?

Le forze politiche, ora che siamo chiamati a tornare alle elezioni, hanno intenzione di dare una risposta reale a questa domanda? Questo è il punto. Perché, aggiungo, il problema non è più soltanto il rapporto tra nord e sud del Paese ma anche quello all'interno di una parte sempre più ampia dell'Italia: tra grandi e piccoli centri così come tra aree costiere ed aree montane. Insomma, tra zone che vivono le difficoltà di servizi che vengono ridotti o contingentati per mancanza di risorse finanziarie.
Eppure, strumenti innovativi non mancherebbero per affrontare queste disuguaglianze: dall'uso delle nuove tecnologie per risolvere in loco ciò che oggi l'innovazione consente, ad un'organizzazione dei servizi sul territorio più corrispondente alle dinamiche della realtà, appunto, territoriale, ad un investimento sulle professioni sanitarie che le valorizzi e permetta di sostituire, anche semplicemente, quei medici e quegli infermieri che vanno in pensione.
Certo tutto ciò ha un costo, valoriale, di cittadinanza, oltre che economico. E tuttavia, anche semplicemente a volerlo considerare esclusivamente in termini economici, quel costo è di gran lunga inferiore a quello che costa al Paese e ai suoi cittadini l'indotto del “turismo sanitario”.

E' tempo dunque di tornare alla realtà. E con buon senso rafforzare con scelte politiche che uniscano visione, programmazione e misurazione, in una lettura rispettosa di quanto delineato dagli articoli 32, 117 e 118 della nostra Costituzione - a maggior ragione a settant'anni dalla sua entrata in vigore - le garanzie di accesso al servizio sanitario.
D'altronde, se il tempo elettorale ha un senso, lo ha anche per richiamare noi stessi a ritrovare l'essenziale. E sebbene sia, forse, un po' troppo semplicistico per alcuni palati raffinati - ce ne scusiamo in anticipo – ma la tutela della salute e della nostra sanità vengono prima di ogni altra cosa.
Per questo domani, 24 febbraio, lanceremo una campagna volta a rendere più esigibile i diritti dei cittadini, con la parola d'ordine “diffondi la salute”.


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