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Non autosufficienza/ Italia Longeva: «Nel 2030 gli anziani disabili saranno 5 milioni. Solo la tecnoassistenza ci salverà»

di Red.San.

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Nel 2030, cinque milioni di anziani disabili da assistere. Nel 2050, sessantatrè anziani da sostenere ogni 100 lavoratori (oggi sono trentacinque). In un contesto in cui la popolazione generale diminuirà di 2,5 milioni, a fronte di un exploit degli "over 65", che raggiungeranno i 20 milioni, di cui 4 milioni di ultra 85enni. Queste le proiezioni elaborate dall'Istat per Italia Longeva (Rete nazionale sull'invecchiamento e la longevità attiva) e presentate oggi al ministero della Salute nel corso degli Stati generali dell'assistenza a lungo termine.

«I dati si riferiscono a semplici proiezioni della situazione attuale - avvisa il presidente Istat, Giorgio Alleva - e pur non trascurando un rilevante margine di incertezza, non c'è dubbio che il quadro sollevi una questione di sostenibilità strutturale per l'intero Paese». «Nei prossimi 50 anni - afferma Tito Boeri, presidente dell'Inps - le generazioni più a rischio di non autosufficienza passeranno da un quinto a un terzo della popolazione. Non è pensabile rispondere a una domanda crescente di assistenza basandosi sul contributo delle famiglie: servono politiche di riconciliazione fra lavoro e responsabilità familiari, che modulino gli aiuti in base allo stato di bisogno. Ad esempio, andrebbero rimodulati i permessi della legge 104/92 in base al bisogno effettivo di assistenza». «Dobbiamo evitare che il Paese diventi un enorme ma disorganizzato ospizio - avverte il presidente di Italia Longeva e , Roberto Bernabei -: per far fronte alla perdita di autonomia bisogna investire in reti assistenziali, competenze e tecnologie. La tecnoassistenza che propugniamo da anni».

Al momento l'Italia "fa acqua da tutte le parti": malgrado le cure a lungo termine nel solo 2016 abbiano assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben 3,5 miliardi pagati di tasca propria dalla famiglie, il Paese è fanalino di coda in Europa in Long term care, cui riserva poco più del 10% della spesa sanitaria, a fronte di Paesi del Nord Europa che vi destinano oltre il 25 per cento. E da noi - ricordano da Italia Longeva - solo 2,3 miliardi di euro (l'1,3% della spesa sanitaria totale) sono destinati alle cure domiciliari, con un contributo a carico delle famiglie di circa 76 milioni di euro.

L'Indagine sull'Adi. Cartina di tornasole di questa scarsa attenzione, è il quadro tracciato dalla seconda Indagine sull'assistenza domiciliare in Italia (Adi): chi la fa, come si fa e buone pratiche", realizzata da Italia Longeva e presentata in occasione di questa terza edizione degli Stati Generali.
L’Indagine, che ha aperto una finestra sulla Long-Term Care in Europa, completa la panoramica sullo stato dell’arte dell’Adi nelle diverse Regioni, avviata nel 2017, includendo ulteriori 23 aziende sanitarie, che si sommano alle 12 esaminate lo scorso anno, per un totale di 35 Asl distribuite in 18 Regioni, che offrono servizi territoriali a circa 22 milioni di persone, ossia oltre un terzo della popolazione italiana.
Il trend dell’offerta di cure domiciliari agli anziani si conferma in crescita (+0,2% rispetto al 2016), ma resta ancora un privilegio per pochi: ne gode solo 3,2% degli over65 residenti in Italia, con una forte variabilità a seconda delle aree del Paese, se non all’interno della stessa Regione, per quanto riguarda l’accesso al servizio, le prestazioni erogate rispetto quelle inserite nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), le ore dedicate a ciascun assistito, la natura pubblica o privata degli operatori e il costo pro capite dei servizi. Mediamente, le Asl coinvolte nell’indagine garantiscono ai loro anziani l’87% delle 31 prestazioni a più alta valenza clinico-assistenziale previste nei Lea, arrivando, in alcuni casi, ad offrire fino al 100% dei servizi, come avviene a Catania, Chieti e Salerno. Un’evidente disomogeneità riguarda invece il numero di accessi in un anno – si va da un minimo di 8 ad un massimo di 77 della ASP di Potenza – e le ore di assistenza dedicate al singolo anziano, che oscillano da un minimo di 9 ad un massimo di 75 nella Asl Roma 4. In tutti i casi, si tratta di interventi principalmente a carattere infermieristico e, a seguire, fisioterapico e medico. All’ampia variabilità in termini di assistiti ed attività erogate, corrispondono anche costi differenti per la singola presa in carico che variano dai 543 euro della Ats Montagna agli oltre 1000 euro della ASP Potenza, e non sempre ad un maggior carico assistenziale corrisponde una spesa più elevata.
“Questa fotografia – commenta Roberto Bernabei – conferma il dato di fondo rilevato lo scorso anno: mentre la cronicità dilaga e la disabilità diventerà la vera emergenza del futuro – tra dieci anni interesserà 5 milioni di anziani – l’Adi continua ad avere un ruolo marginale e ad essere fortemente sottodimensionata rispetto ai bisogni dei cittadini. Con il risultato che gli anziani continuano ad affollare i Pronto soccorsi, mentre i familiari sono alla disperata ricerca di badanti cui affidare i propri cari dimessi dall’ospedale, sempre che possano permetterselo. Non serve puntare il dito sulla eterogeneità dell’offerta delle cure domiciliari da Nord a Sud del Paese, che, di per sé, potrebbe rappresentare anche un valore, perché strettamente legata alla specificità dei luoghi e dei bisogni espressi dalla popolazione anziana. Abbiamo, piuttosto, il compito e la responsabilità di individuare delle strategie per rafforzare e modernizzare le cure domiciliari, investendo in quella tecnoassistenza che consentirebbe un maggior accesso alle cure domiciliari, anche in territori geograficamente ‘difficili’ del nostro variegato Paese».


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