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Value della spesa sanitaria: quando i numeri non bastano più

di Nino Cartabellotta *

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24 Esclusivo per Sanità24

Gli approcci tradizionali per analizzare la spesa sanitaria si basano sul presupposto che l’intero ammontare della spesa sanitaria (pubblica, out-of-pocket e intermediata) determini un miglioramento della salute individuale e collettiva. In realtà, se il value è il rapporto tra outcome di salute rilevanti per il paziente e costi, gli sprechi e le inefficienze che consumano risorse senza generare value riducono il value for money, ovvero il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità: dalla sottrazione indebita di risorse (frodi e abusi) ai costi di acquisto superiori al valore del prodotto, dalle inefficienze amministrative (eccesso di burocrazia, scarsa informatizzazione) all’inadeguato coordinamento tra vari setting di cura e bassa produttività; dall’erogazione di interventi sanitari inefficaci, inappropriati, dal value basso o negativo alle conseguenze della mancata erogazione di interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’elevato value. Di conseguenza, secondo i princìpi della value-based healthcare, driver della sanità del XXI secolo, la spesa sanitaria può essere classificata in tre categorie:
• No value: spesa che non si traduce in servizi e prestazioni sanitarie e, per definizione, non ha alcun impatto sugli esiti di salute.
• Low/negative value: spesa utilizzata per servizi e prestazioni sanitarie che, rispetto al costo, determinano benefici marginali o nulli sugli esiti di salute, o hanno un profilo rischio-beneficio non noto o addirittura peggiorano gli esiti di salute generando, a cascata, ulteriori costi.
• High value: spesa utilizzata per servizi e prestazioni sanitarie che, rispetto al costo, determinano benefici più o meno rilevanti in termini di salute.
Fatta eccezione per la spesa no value, non sempre è possibile definire confini netti e rigorosi tra le altre due categorie, in quanto gli stessi servizi e prestazioni sanitarie possono avere un differente value for money tra diverse popolazioni e sottogruppi di pazienti, secondo criteri di appropriatezza basati su evidenze scientifiche o, se assenti, su processi di consenso formale tra esperti. Ad esempio, il value della risonanza magnetica (RM) nei pazienti con lombalgia acuta è elevato nei pazienti con segni di allarme e in quelli senza tali segni se eseguita dopo 4-6 settimane dall’insorgenza dei sintomi; il value diminuisce invece se la RM viene eseguita a 2-3 settimane sino a diventare negativo se eseguita entro una settimana perché aumenta la probabilità di eventi avversi conseguenti a fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento.
Nel 4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) è stato per la prima volta stimato il value for money della spesa sanitaria in Italia sulla base di alcuni presupposti generali. Innanzitutto, ciascuna componente della spesa sanitaria (pubblica, out-of-pocket, intermediata), oltre ad essere influenzata da driver differenti, è destinata a voci di spesa solo in parte sovrapponibili. In secondo luogo, le dinamiche tra le tre componenti della spesa sanitaria non sono regolate dal principio dei vasi comunicanti, rendendo impossibili compensazioni quantitative. Inoltre, le tre componenti della spesa sanitaria sono erose in misura variabile dalle categorie di sprechi: di conseguenza, lo stesso importo di spesa pubblica, out-of-pocket o intermediata hanno un differente value for money, ovvero non producono lo stesso ritorno in termini di salute. Infine, nel Ssn servizi e prestazioni erogati sono disallineati rispetto ai bisogni di salute: infatti, se da un lato una quota di bisogni non viene adeguatamente soddisfatta (sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie efficaci e appropriate), dall’altro una parte della spesa sanitaria viene utilizzata per servizi e prestazioni sanitarie inefficaci e inappropriate (sovra-utilizzo), anche in conseguenza di un’aumentata domanda dei cittadini influenzata dalla medicalizzazione della società.
Dalle analisi effettuate sul value for money della spesa sanitaria 2017 emerge che:
• Spesa pubblica. Il 19% risulta dalla sommatoria di spesa no value (10%) e low/negative value (9%).
• Spesa out-of-pocket. La percentuale high value è intorno al 60% e riguarda sia prestazioni extra-Lea, sia prestazioni offerte dal Ssn; il rimanente 40% è low/negative value in quanto destinata all’acquisto di beni (prodotti farmaceutici e medicali) assolutamente irrilevanti per la salute e di servizi inappropriati (specialistica e diagnostica ambulatoriale), oppure esigibili dal cittadino secondo modalità e tempi del Ssn senza alcuna conseguenza in termini di salute.
• Spesa intermediata. Almeno il 40% non si traduce in servizi (no value expenditure) perché erosa da costi amministrativi, fondo di garanzia/oneri di riassicurazione, utili delle compagnie assicurative per i fondi non autoassicurati; il rimanente 60% si distribuisce equamente tra prestazioni extra-Lea (high value) e di specialistica e diagnostica ambulatoriale di cui una metà dal low/negative value.

Traducendo le stime in euro, dei € 154.900 milioni di spesa sanitaria del 2017, € 116.218 milioni (75%) sono high value, € 14.142 milioni (9%) non si traducono in servizi e prestazioni sanitarie (no value) e € 24.560 (16%) vengono impiegati per servizi e prestazioni dal value basso/negativo. La spesa pubblica, in ogni caso, risulta quella con la percentuale maggiore di spesa high value (81%) rispetto alla spesa out-of-pocket (61%) e a quella intermediata da fondi e assicurazioni (46%).
Esaminando la spesa sanitaria sotto la lente del value appare evidente che è indispensabile avviare riforme sanitarie e fiscali, oltre che azioni di governance a tutti i livelli sia per ridurre al minimo i fenomeni di overuse e underuse, che determinano gravi conseguenze cliniche, sociali ed economiche, sia per aumentare il value for money di tutte le componenti della spesa sanitaria. Peraltro, come recentemente suggerito dall’Oms, la spesa out-of-pocket dovrebbe idealmente essere ridotta al 15% della spesa totale per evitare di intaccare uguaglianza e accessibilità alle cure. Questo obiettivo tuttavia, lungi dal poter essere raggiunto in maniera semplicistica con l’espansione del secondo pilastro, richiede tre azioni: un consistente rilancio del finanziamento pubblico, un’adeguata opera di sensibilizzazione per ridurre gli eccessi di medicalizzazione e una riforma in grado di restituire alla sanità integrativa il ruolo di coprire prevalentemente prestazioni extra-Lea o, in ogni caso, bisogni di salute non soddisfatti dal Ssn.

* Presidente Fondazione Gimbe


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