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53° Rapporto Censis/ Italia in ansia da incertezza e in «tsunami demografico». «Shopping di salute» tra Ssn e privati. Non autosufficienza per 3,5 milioni

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite: così è l'Italia fotografata dal 53° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese quando la si guarda attraverso la lente degli indicatori demografici. Un ritratto che conferma gli ultimi dati Istat e che è implacabile: dal 2015 - anno di inizio della prima flessione demografica - si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 - rilevano dal Censis - i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. E «la caduta delle nascite si coniuga con l’invecchiamento demografico». Nel 1959 gli under 35 erano 27,9 milioni (il 56,3% della popolazione complessiva) e gli over 64 erano 4,5 milioni (il 9,1%). Tra vent’anni, su una popolazione ridotta a 59,7 milioni di abitanti, gli under 35 saranno 18,6 milioni (il 31,2%) e gli over 64 saranno 18,8 milioni (il 31,6%). Sulla diminuzione della popolazione giovanile hanno un effetto anche le emigrazioni verso l’estero: in un decennio più di 400.000 cittadini italiani 18-39enni hanno abbandonato l’Italia, cui si sommano gli oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni.

L'ansia da incertezza e il «furore di vivere». I dati demografici non aiutano e anzi probabilmente hanno un grosso peso nel confezionare l'immagine di un Paese "in ansia" da incertezza, che contraddistingue il 69% degli italiani. A cominciare dal lavoro. «La nuova occupazione creata negli ultimi anni - si legge nel Rapporto - è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi. Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso». L'incertezza giustificherebbe il «furore di vivere» degli italiani, per cui l'incertezza - spiegano dall'Istituto di ricerca sociale - è diventata «lo stato d'animo dominante nel 69% dei casi, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista». Scampati al mulinello della crisi in cui però hanno lasciato le "sicurezze" mattone e Bot, ora gli italiani ricorrono a stratagemmi individuali - si legge nel Report - sintetizzati dalla corsa alla liquidità che si traduce in un +33,6% di contante e depositi bancari nel decennio 2008-2018».

Più ansiolitici e pulsioni antidemocratiche. L'incertezza si riflette su uno stato d'ansia fisica e di stress - tanto che il consumo di ansiolitici e sedativi è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni - e sulle «pulsioni antidemocratiche», tanto che il 48% degli italiani oggi dichiara che vorrebbe «un uomo forte al potere», dato che sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i meno istruiti e al 67% tra gli operai. E non consola la "finzione" dei 321mila occupati (+1,4%) in più tra 2008 e 2007 e il dato di un +0,5% nel primo semestre 2019: «il bilancio dell’occupazione - rilevano dal Censis - è dato da una riduzione di 867.000 occupati a tempo pieno e un aumento di 1,2 milioni di occupati a tempo parziale. Nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38% e anche nella dinamica tendenziale è cresciuto di 2 punti. Oggi un lavoratore ogni cinque ha un impiego a metà tempo». Mentre il part time involontario riguarda 2,7 milioni di lavoratori.

IL CAPITOLO SANITA'

Una sanità «combinatoria». Il rapporto degli italiani con la sanità - avvisano dal Censis - è sempre più improntato a una logica combinatoria: per avere ciò di cui hanno bisogno per la propria salute, si rivolgono sia al Servizio sanitario nazionale, sia a operatori e strutture private, a pagamento. Nell’ultimo anno il 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento: il 56,7% di chi ha un reddito basso e il 68,9% di chi ha un reddito di oltre 50.000 euro annui. Ci si rivolge al di fuori del Ssn sia per motivi soggettivi, per il desiderio di avere ciò che si vuole nei tempi e nelle modalità preferite, sia per le difficoltà di accedere al pubblico a causa di liste d’attesa troppo lunghe. Nell’ultimo anno su 100 prestazioni rientranti nei Lea che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento. Marcate le differenze territoriali: il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% nel Centro, il 33,2% al Sud. Forte è la pressione della spesa sanitaria privata: per l’81,5% degli italiani pesa molto o abbastanza sul bilancio familiare (il 77,8% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 76,5% nel Nord-Est, l’82,5% nel Centro, l’86,2% al Sud).
La complessità del benessere soggettivo. Per il 41,3% degli italiani stare bene significa trovarsi in uno stato di benessere psicologico, di soddisfazione, tranquillità e felicità. Dieci anni fa solo il 17,4% degli italiani la pensava così. Nella nuova e allargata concezione di benessere che si è affermata nell’ultimo decennio un ruolo significativo spetta alla sessualità. Il 71,4% dei 18-40enni italiani che hanno rapporti sessuali è molto o abbastanza soddisfatto della propria vita, mentre la quota scende al 52,5% tra chi non ha rapporti sessuali. Se una vita sessuale soddisfacente innalza il benessere soggettivo, su un ambito decisivo per la salute come quello della prevenzione sessuale i giovani sono ancora un passo indietro, con comportamenti poco attenti a mettersi al riparo dai rischi. Il 57,9% dei 18-40enni ha fatto sesso senza usare alcun metodo contraccettivo e il 18,2% ha utilizzato il coito interrotto. Solo il 21,6% dei millennial ha sempre utilizzato contraccettivi.
I rischi della svalorizzazione del terzo settore. In Italia ci sono 343.432 istituzioni non profit (+14% tra il 2011 e il 2016) che occupano 812.706 dipendenti (+19,4% nello stesso periodo). Più della metà delle organizzazioni risiede nelle regioni settentrionali (il 28% nel Nord-Ovest, il 23,3% nel Nord-Est), il 22,2% nel Centro, il 26,7% nel Mezzogiorno. La presenza è radicata nei territori, dove il terzo settore svolge una funzione economica e sociale decisiva per le comunità, ma che oggi vive una messa sotto attacco con il relativo rischio di downgrading di fiducia e reputazione nell’opinione pubblica. Tra gli italiani è presente una propensione alla generosità: il 64,1% dei 18-40enni dichiara che gli piace fare qualcosa per gli altri, fare volontariato (il 67,9% delle donne e il 65,9% dei laureati). Tuttavia, affinché questa propensione diventi concreta, occorre che il terzo settore ottenga risultati in ambiti importanti per le persone. Oggi uno dei temi più significativi è quello della relazionalità e della qualità della vita nelle comunità. Il 92% degli italiani dichiara che gli piace o piacerebbe vivere in un contesto in cui le persone si conoscono, si frequentano e si aiutano (il 91,3% nel Nord-Ovest, l’89% nel Nord-Est, il 93,3% nel Centro, il 93,6% al Sud). In un Paese che invecchia rapidamente, dove nascono sempre meno bambini e aumentano le persone che vivono sole, la rete familiare resta il più importante meccanismo di solidarietà tra le persone di diverse generazioni. La capacità di creare relazionalità all’interno delle comunità diventa quindi una priorità. E il terzo settore è uno dei soggetti che può mettere in campo soluzioni.
La solitudine della non autosufficienza. Oggi in Italia le persone non autosufficienti sono 3.510.000 (+25% dal 2008), in grande maggioranza anziani: l’80,8% ha più di 65 anni. Non è autosufficiente il 20,8% degli anziani. Insufficienti e inadeguate sono le risposte pubbliche a un fenomeno destinato a crescere, considerato l’invecchiamento progressivo della popolazione. Il 56% degli italiani dichiara di non essere soddisfatto dei principali servizi socio-sanitari per i non autosufficienti presenti nella propria regione (il 45,5% dei residenti al Nord-Ovest, il 33,7% nel Nord-Est, il 58,2% nel Centro, il 76,5% al Sud). L’onere della non autosufficienza ricade direttamente sulle famiglie, chiamate a contare sulle proprie forze economiche e di cura. Per il 33,6% delle persone con un componente non autosufficiente in famiglia le spese di welfare pesano molto sul bilancio familiare, contro il 22,4% rilevato sul totale della popolazione. Forte è la richiesta delle famiglie di un supporto anche economico: il 75,6% degli italiani è favorevole ad aumentare le agevolazioni fiscali per le famiglie che assumono badanti.
Il gap tra aspettative soggettive sulle pensioni e sostenibilità del sistema. Aumenta il risentimento nei confronti del sistema previdenziale. Per il 45,2% degli italiani l’età pensionabile non deve seguire l’andamento della speranza di vita, mentre per il 43,2% speranza di vita ed età del pensionamento devono camminare insieme. Quasi 2 milioni di pensioni in Italia sono erogate da trent’anni o più (il 12% del totale), a fronte di una durata media di 24 anni. Sono il riflesso di periodi in cui era più facile andare in pensione, che però oggi generano costi significativi per la previdenza. Il 53,6% delle pensioni erogate in Italia è inferiore a 750 euro mensili. Non sorprende allora che il 73,9% degli italiani sia d’accordo con la necessità di portare le pensioni minime a 780 euro al mese con risorse pubbliche. Stenta poi a decollare il sistema previdenziale multipilastro, che sarebbe la vera soluzione per un sistema sostenibile, specialmente tra i giovani. Nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, vale a dire il 34,3% degli occupati, ma la quota di iscritti scende al 27,5% tra i lavoratori millennial. Solo il 23,3% degli italiani dichiara di sapere bene che cosa sia la previdenza complementare (il 19,4% tra i 18-34enni).


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