Aziende e regioni

Lombardia e Veneto: è sempre lo stesso Ssn?

di Livio Garattini *, Alessandro Nobili *

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24 Esclusivo per Sanità24

All’inizio del 2020 l'Italia è stata la prima nazione europea drammaticamente colpita dalla pandemia Covid-19, soprattutto al Nord. In particolare, il numero di vittime è stato notevolmente elevato in Lombardia e assai meno in Veneto, le due regioni confinanti colpite per prime dalla pandemia.
Vengono qui riassunte e confrontate le caratteristiche generali dei due servizi regionali per valutarne le differenze, con un focus specifico sugli ospedali per acuti, la tipologia di ospedali di più semplice identificazione. Successivamente, traendo spunto dal confronto, vengono formulate tre proposte di carattere generale per ridisegnare la politica sanitaria del Ssn.
Il Veneto è una regione di circa cinque milioni di abitanti governata oramai da decenni da coalizioni di centro-destra. Il territorio regionale è attualmente suddiviso in 9 Aulss, che gestiscono tutti i servizi sanitari erogati nell’ambito del proprio territorio, eccezion fatta per tre aziende ospedaliere (Ao) con i due ospedali più grandi della regione (Padova e Verona) e un istituto specializzato in oncologia. Il territorio di ciascuna Aulss è suddiviso in distretti (attualmente 26), le unità operative che dovrebbero organizzare i servizi territoriali di assistenza primaria. Dal 2016 la maggioranza delle agenzie regionali è stata inglobata nell’Azienda Zero, responsabile, oltre che delle gare d’acquisto regionali, di tutte le Aulss per il finanziamento, la pianificazione, il controllo, la contabilità e i concorsi di assunzione del personale. Da qualche anno gli ospedali per acuti sono stati classificati in una rete hub &spoke. Trattasi della fase più recente di un lungo processo mirato a ridurre il numero di piccoli ospedali che non sono in grado di soddisfare i requisiti minimi di sicurezza e qualità. Al momento sono inclusi: a) 8 hubs, al vertice della rete per dotazione di dipartimenti clinici (incluse le tre Ao); b) 20 spokes (di cui due privati), dotati dei dipartimenti minimi essenziali per bacini di utenza locali; iii) 8 nodes (di cui uno privato) con dipartimenti di base situati in aree remote. Tutti questi ospedali sono dotati almeno di un servizio di Pronto soccorso.
La Lombardia ha circa dieci milioni di abitanti, di cui più di un terzo residenti nell'area metropolitana di Milano, è stata anch’essa governata negli ultimi decenni da coalizioni politiche di centro-destra ed è la regione che ha spinto più insistentemente per la "concorrenza di mercato", soprattutto fra ospedali pubblici e privati. Una legge regionale del 2015 ha radicalmente riformato gli assetti a livello locale, separando la pianificazione, l'acquisto e il controllo dei servizi sanitari dalla loro erogazione sul territorio.
I primi compiti sono stati attribuiti a 8 agenzie per la tutela della salute (Ats), la fornitura dei servizi a 27 autorità sanitarie territoriali (Asst). Le Ats gestiscono i contratti, accreditano i fornitori sanitari privati (Mmg inclusi) e allocano i fondi regionali alle strutture private e alle Asst appartenenti al proprio territorio. Le Asst organizzano la fornitura dei servizi sanitari pubblici erogati sul proprio territorio, suddividendoli in: 1) servizi territoriali (Mg esclusa, di competenza delle Ats); 2) servizi ospedalieri. Il numero di Asst controllate da una Ats varia da uno a nove (Ats metropolitana di Milano). I territori dei distretti coincidono con quelli delle 27 Asst; inoltre, le Ats possono decidere di suddividerli in ambiti distrettuali (attualmente 92). Sebbene i distretti siano unità operative finalizzate a erogare i servizi territoriali, la loro gestione dipende dalle Ats. Per completare il quadro, esistono alcune agenzie regionali, fra le quali vale la pena di citare Acss (per i controlli), Aria (per le gare d'appalto) e Areu (per le emergenze). Il numero di ospedali per acuti è assai elevato e, in assenza di una classificazione formale per tipologia, risulta piuttosto problematico anche quantificarli. Assumendo la presenza di un servizio di Ps come requisito, abbiamo individuato 68 ospedali pubblici (gestiti dalle Asst) e 29 ospedali privati (accreditati dalle ATS); 97 in totale, di cui 16 ubicati nella municipalità di Milano.
Veneto e Lombardia sono due regioni confinanti molto sviluppate sotto il profilo economico, non così diverse nemmeno da un punto di vista geografico. Sebbene la superficie totale della Lombardia sia più estesa di circa un quarto, le proporzioni fra aree montagnose e pianeggianti sono abbastanza simili. Inoltre, anche se in Lombardia la popolazione totale è all’incirca il doppio, tale differenza è dovuta principalmente all'area metropolitana di Milano. Infine, dettaglio affatto trascurabile ai fini del nostro confronto, anche il quadro politico delle due regioni è risultato simile negli ultimi decenni. Ciononostante, gli assetti organizzativi dei due Ssr sono divenuti sempre più diversi: vi sono attualmente 13 agenzie/aziende rilevanti in Veneto, mentre almeno 38 in Lombardia; un numero quasi tre volte superiore che rende inevitabilmente più complicata la governance del servizio. Inoltre, la densità degli ospedali in Veneto è inferiore rispetto alla Lombardia quasi di un terzo e della metà in rapporto, rispettivamente, alla popolazione e alla superficie, quindi anche al di fuori dell’area milanese. Oltre al numero tradizionalmente superiore di ospedali privati in Lombardia, anche quelli piccoli sono diventati nel tempo sempre più numerosi in proporzione in Lombardia. Quindi, mentre la pianificazione veneta ha contribuito a limitare nel lungo periodo le strutture di dimensione insufficiente, la strategia lombarda di "quasi mercato" non ha di fatto raggiunto risultati analoghi. In generale, gli assetti attuali dei due servizi confermano in modo evidente che nel tempo sono state attuate politiche assai diverse nei servizi sanitari regionali, anche in regioni geograficamente, economicamente e politicamente simili.
Una volta preso atto che il settore pubblico è per definizione il miglior "assicuratore" per finanziare un sistema sanitario qualora si voglia garantire una copertura universale alla popolazione, è inutile nascondere che le scelte per erogare i servizi sanitari all’interno di un Ssn sono meno ovvie e scontate. Peraltro, in un contesto tipico di "fallimento del mercato" come la sanità, la concorrenza tra fornitori non è in alcun modo giustificata dalla teoria economica e ha richiesto un forte supporto ideologico fin dal primo tentativo inglese negli anni novanta. I prezzi in sanità non possono risultare concorrenziali, per definizione, e fissarli a livello regolatorio (tipicamente con tariffe per prestazione) è necessariamente un esercizio arbitrario, che alla lunga rischia di generare un'allocazione irrazionale delle risorse finanziarie. Inoltre, è probabile che il finanziamento per attività incentivi trattamenti in eccesso rispetto ai bisogni reali e riduca l’integrazione fra erogatori di servizi, riducendo in ultima analisi le opportunità per migliorare la qualità e ridurre i costi dei servizi stessi. D'altro canto, è doveroso riconoscere che il mito della concorrenza è stato alimentato dalla burocrazia endemica dei settori pubblici e dall'influenza politica a cui sono perennemente esposti a tutti i livelli.
Rimanendo qui da noi, la riduzione dei piccoli ospedali (storicamente diffusi in tutto il Paese) è stata quasi sempre vanificata dalla resistenza politica di partiti e sindacati e gli interessi degli esercizi commerciali sorti attorno a essi sono stati spesso i migliori ‘alleati’ contro la loro chiusura; un comportamento affatto sorprendente in una nazione in cui circa il 90% dei quasi ottomila comuni conta meno di quindicimila abitanti. Inoltre, le nomine dei direttori generali in sanità sono state assai spesso e volentieri influenzate dalle appartenenze politiche piuttosto che dalle capacità professionali dei singoli. Ciononostante, una volta escluse la concorrenza e la fissazione di prezzi artificiali, la pianificazione e il budgeting rimangono l’unica soluzione realistica per la gestione dei servizi sanitari, auspicabilmente in un clima di collaborazione fra strutture sanitarie. Non vi è dubbio che una cultura ispirata al "lavoro di squadra" è molto più indicata per i servizi sanitari rispetto a quella competitiva e la grande sfida del futuro rimane quella di riuscire a limitare l'influenza politica e la burocrazia amministrativa.
Seguendo tale logica, vengono avanzate tre proposte di carattere generale per il nostro Ssn.
•Innanzitutto, l’assetto istituzionale di base non dovrebbe essere lasciato alla mercé dei governi politici del momento sia per il finanziamento che per l’erogazione dei servizi. Le sole innovazioni sempre ben accette in sanità dovrebbero essere quelle scientifiche e tecnologiche (ad esempio la telemedicina di questi tempi), mentre le presunte innovazioni economiche dovrebbero essere sempre valutate con molta cautela, essendo quasi sempre influenzate dalla politica. Sarebbe quindi auspicabile introdurre delle "clausole di salvaguardia" per garantire le caratteristiche fondamentali del Ssn, per la cui modifica dovrebbe quanto meno essere necessario un ampio supporto politico a livello centrale, ad esempio la maggioranza assoluta di due terzi in Parlamento. In particolare, nulla vieta che i servizi sanitari pubblici e privati possano coesistere, ma separatamente, essendo i primi il pilastro insostituibile di un Ssn e i secondi un eventuale tassello supplementare in caso di necessità.
•Inoltre, appare abbastanza evidente che un riequilibrio fra i servizi territoriali e quelli ospedalieri sia necessario in tutte le regioni. Di conseguenza, i criteri di finanziamento del Ssn dovrebbero essere fissati in modo tale da incentivare i primi, inevitabilmente penalizzati dai loro costi assai inferiori in caso di restrizioni budgetarie e, più in generale, dal loro modesto impatto sulle economie locali, a maggior ragione in un lungo periodo di crisi economica come quello attuale.
•Infine, andrebbe resa obbligatoria una formazione sanitaria post-laurea specifica per i dirigenti apicali del Ssn, al fine di limitare l'ingerenza politica nella loro selezione e rafforzare al contempo la conoscenza delle tecniche manageriali del settore sanitario. Ad oggi non è mai stata istituita una scuola nazionale di sanità e non sono stati nemmeno riconosciuti corsi di formazione obbligatoria di enti terzi. In particolare, una formazione specifica in sanità dovrebbe rendere i potenziali manager sanitari pienamente consci del fatto che la salute dei pazienti deve essere l'interesse primario di tutti gli operatori sanitari, come assai spesso sottolineato nelle riviste cliniche, e quindi gli incentivi finanziari strumenti assai discutibili per farli lavorare di più al servizio dei pazienti.

* Istituto Mario Negri Irccs


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