Aziende e regioni

Bilancio di Welfare Cerved: spesa più 5 mila euro a famiglia, il 17,5% del reddito netto. Salute prima voce con 38,8 mld, poi gli anziani

di Radiocor Plus

S
24 Esclusivo per Sanità24

Nel 2021 la spesa delle famiglie per prestazioni di welfare ha raggiunto i 136,6 miliardi (più di 5 mila euro a famiglia), pari al 17,5% del reddito netto. Cresce la spesa delle famiglie per la salute (38,8 miliardi), assistenza agli anziani (29,4 miliardi) e istruzione (12,4 miliardi); in calo quelle per assistenza ai bambini (6,4 miliardi), assistenza familiare (11,2 miliardi), cultura e tempo libero (5,1 miliardi). Sono i numeri che emergono dall'edizione 2022 del Bilancio di welfare delle famiglie italiane di Cerved, presentato a Roma, che evidenzia, come novità, il gap fra la crescita della domanda e l'adeguatezza dell'offerta. Anche a causa del Covid, infatti, è aumentato il numero di famiglie che hanno rinunciato a prestazioni di welfare: 50,2% nella sanità, 56,8% nell'assistenza agli anziani, 58,4% nell'assistenza ai bambini, 33,8% nell'istruzione. Cresce anche l'industria del welfare, un settore che vale il 9% del Pil, genera opportunità di sviluppo degli investimenti e di nuovi modelli di servizio.
Il Rapporto di Cerved analizza la spesa di welfare delle famiglie che nel 2021 ha raggiunto il valore di 136,6 miliardi, pari al 7,8% del Pil, con un modello suddiviso in otto aree. La salute (38,8 miliardi) e l'assistenza agli anziani (29,4 mld) sono le due aree principali, che nell'insieme assorbono la metà della spesa familiare. Le altre aree sono: la cura dei bambini e l'educazione prescolare (con una spesa di 6,4 mld), l'assistenza familiare (11,2 mld), l'istruzione (12,4 mld), la cultura e il tempo libero (5,1 mld), le spese per il lavoro (25 mld), le assicurazioni di previdenza e di protezione (8,3 mld). «L'industria del welfare è un settore trainante per la crescita del Paese - ha commentato Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved. Ai 136,6 miliardi di spesa delle famiglie si aggiungono 21,2 miliardi del welfare aziendale e collettivo, per un valore pari al 9% del Pil. Gli investimenti pubblici e privati sono decisivi per rinnovare il nostro sistema di welfare, generando nuovi modelli di servizio capaci di rispondere alla domanda delle famiglie. Con il nostro Rapporto abbiamo voluto dare un contributo concreto per misurare la domanda di servizi, nel momento in cui con il Pnrr abbiamo le risorse per proiettare nel futuro il nostro sistema di welfare».
L'indagine, giunta alla terza edizione, è stata condotta da Innovation Team, unità di ricerca del gruppo Cerved, su un campione di 4.005 famiglie di tutte le regioni italiane, stratificate per condizione economica e per composizione del nucleo familiare. Le rilevazioni sono state eseguite in diverse fasi negli ultimi due anni, dal lockdown della primavera 2020 a novembre 2021, per analizzare l'influenza dell'emergenza Covid sui comportamenti familiari e per distinguere le conseguenze dell'emergenza dalle tendenze di lungo termine.
Complessivamente la spesa di welfare delle famiglie varia più rapidamente del Pil: aumentata del 6,8% dal 2017 al 2018, ha subito una contrazione provocata dalla pandemia (-14,6% dal 2018 al 2020), per tornare a crescere nell'ultimo anno dell'11,4%. In tre aree la tendenza generale è di continuo aumento della spesa: la salute, da 33,7 mld nel 2017 a 38,8 mld nel 2021 (superando la flessione provocata dall'emergenza Covid nel 2020); l'assistenza agli anziani, da 25,3 mld nel 2017 a 29,4 mld nel 2021; l'istruzione, da 9,6 mld nel 2017 a 12,4 nel 2021. Le spese familiari per l'istruzione hanno subito un'impennata nel 2020 a causa anche della necessità di dotarsi delle attrezzature tecnologiche richieste dalla Dad.
In tre aree, invece, la spesa delle famiglie è fortemente diminuita nel 2020 a causa delle restrizioni provocate dalla pandemia, e nel 2021 è tornata crescere ma senza raggiungere i livelli pre-crisi: l'assistenza ai bambini e l'educazione prescolare (le famiglie hanno dovuto fronteggiare la chiusura di nidi e asili con un forte aumento dell'impegno dei genitori che, in molti casi ha portato a difficoltà nel lavoro); l'assistenza familiare (è molto diminuito il ricorso alle colf); la spesa per la cultura e il tempo libero, che nel 2020 si è ridotta di due terzi e tuttora resta molto distante dai livelli precedenti la crisi. La crescita della spesa dipende in gran parte dalla trasformazione della famiglia, mossa da tre fattori principali: il cambiamento degli stili di vita e dei modelli di relazione familiare; la frammentazione delle strutture familiari; l'impatto sulla famiglia dell'invecchiamento della popolazione. Oggi un terzo delle famiglie italiane è composto da individui (singoli non sposati, separati e divorziati, vedovi), e, considerando anche i genitori soli con figli a carico, le famiglie con un solo adulto raggiungono la quota del 41,5%.
Eppure la famiglia, con tutte le sue difficoltà, resta la rete primaria di protezione sociale, di solidarietà tra i generi e le generazioni, di educazione dei figli e di supporto alla mobilità sociale dei giovani. Il punto dolente del rapporto fra i servizi e il nuovo assetto familiare è rappresentato dal crescente numero di anziani che non trovano risposta adeguata nel sistema di welfare: quattro milioni di anziani, 28,9% del totale, vivono soli e le famiglie con anziani o con altre persone bisognose di aiuto sono 6,5 milioni. Nel 67,3% di queste l'assistenza è prestata esclusivamente da familiari, senza l'ausilio di servizi.
Il rapporto Cerved, poi, misura la quota di famiglie che hanno rinunciato nel corso dell'anno a prestazioni di welfare. Nell'ultimo anno più di metà delle famiglie ha rinunciato a prestazioni sanitarie, e nel 13,9% si è trattato di rinunce rilevanti. Il 56,8% ha rinunciato (22% in modo rilevante) a servizi di assistenza agli anziani, e il 58,4% (17,4% in modo rilevante) a servizi di cura dei bambini ed educazione prescolare. La quota delle famiglie che hanno fatto rinunce in queste aree è molto aumentata sul 2018. Non è aumentata ma resta elevata la quota di rinunce nell'istruzione: 33,8% (di cui 11,6% rinunce rilevanti). Influiscono sulle rinunce tre motivazioni principali: nell'area della salute la pandemia ha provocato restrizioni nella disponibilità di servizi sanitari e rinvio delle cure da parte degli stessi cittadini per timore del contagio. Complessivamente queste motivazioni hanno determinato negli ultimi due anni il 58,9% delle rinunce; una seconda causa di rinuncia è economica, e riguarda la difficoltà delle famiglie più povere nel sostenere il costo delle prestazioni. In questo segmento la quota di rinuncia alle prestazioni è elevatissima: 62,3% nella salute (19,8% di rinuncia rilevante), 77,2% nell'assistenza agli anziani (33,6% rilevante), 65,6% nella cura dei bambini (23,6% rilevante), 42,1% nell'istruzione (14,15 rilevante); ma per la maggior parte delle famiglie le principali motivazioni di rinuncia non sono economiche ma riguardano l'inadeguatezza dell'offerta. Ciò appare evidente nell'assistenza agli anziani: più del 60% delle famiglie rinunciano a questi servizi giudicandoli di qualità insufficiente (29,5%) o ritenendo che le prestazioni di cui hanno bisogno non siano disponibili (31,9%).


© RIPRODUZIONE RISERVATA