Aziende e regioni

Il «must»: progettare Trasporti e Sanità in sincronia

di Ettore Jorio*

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24 Esclusivo per Sanità24

Le politiche dei trasporti, specie nelle regioni dall’orografia impossibile e con una rete stradale ridotta ai minimi termini, non possono non essere pensate e realizzate con quelle della salute, intendendo per tale quella garante dell’assistenza sociosanitaria. Quell’importante segmento del welfare che, con un territorio sottovalutato sul piano delle garanzie assistenziali, è stata la primaria causa dei guai che la nazione intera ha registrato da due anni a questa parte, con il Covid lasciato libero di circolare tra una popolazione abbandonata a se stessa, in termini di cure primarie.
Per rimediare a una tale debolezza del sistema della tutela della salute occorre ridisegnarlo. Per farlo bene, necessita considerare preliminarmente la politica dei trasporti che si intenda attuare, quindi, la sua progettazione come strumento di distribuzione territoriale anche dei siti sociosanitari. Questi ultimi da considerare come segmenti di un insieme erogativo dei Lea, afferenti ai primari diritti sociali, dovuti alla collettività senza discrimine alcuno per come costituzionalmente sancito (art. 117, c. 2, lett. m). In quanto tali, ad essi siti va assicurata la migliore individuazione logistica e il più facile raggiungimento da parte di tutti, nessuno escluso, soprattutto degli appartenenti al ceto più debole. Ciò al fine di renderli concretamente godibili a chi, altrimenti, risulterebbe isolato dal sistema di tutela della salute territoriale e, dunque, lontano da ogni suo pronto utilizzo sociale. Un handicap venuto fuori con tutta la sua forza in questi due terribili anni nei quali il Sars-Cov2, in tutte le sue diverse configurazioni scientifiche, ha trovato un territorio completamente sguarnito di presidi difensivi e ospedali inadeguati all’esigenza.
Il problema di oggi è quello di capire il da farsi, alla luce delle occasioni offerte dal Pnrr, funzionale a rintracciare nel tempo scadente nel 2026 la soluzione migliore a far collimare e coincidere il soddisfacimento del fabbisogno viario con quello epidemiologico. Quest’ultimo inciso sensibilmente da un coronavirus che sembra non finire mai, con le sue varianti ancora pronte a moltiplicarsi, e dagli esiti del post-Covid che promettono poco di buono.
I tempi previsti dalla generosa programmazione europea 2021-2026, prescindendo dalle misure individuate e dai tempi attuativi previsti, soprattutto quelli riferiti alla scansione delle scadenze fissate per assicurare una assistenza sanitaria territoriale più efficiente, efficace e immediata, comporteranno una fatica abnorme per le istituzioni impegnate. Queste ultime, spesso a corto di burocrazie professionalizzate e invero non attrezzate allo scopo, saranno in molte ad accedere all’outsourcing ovvero a corsi accelerati di una formazione, che questa volta dovrà essere davvero tale.
Il tutto reso più difficile da far camminare, di pari passo, un siffatto genere di programmazione complessa (trasporti e salute) con quella propedeutica ad implementare le infrastrutture garanti di una mobilità sostenibile, indispensabili per assicurare per l’appunto - in una sinergia organica con i previsti servizi digitali e della c.d. logistica integrata - i trasporti necessari a programmare, a brevissimo (il 31 maggio p.v. ci sarà la sottoscrizione dei relativi Cis), e realizzare nell’arco di tempo concesso dal Pnrr una rinnovata assistenza territoriale sostenuta da modalità viarie capaci di agevolarne la godibilità.
Il problema impeditivo della realizzazione sincronica è determinato dalla maggiore durata di tempo della riprogrammazione della rete viaria, rispetto a quella della materializzazione della rinnovata assistenza della salute pubblica di territorio, che dovrà essere necessariamente breve, pena le debolezze attuali, spesso generative di pratiche quasi “omicidiarie”. L’assistenza basata su una rifondazione complessa del distretto sanitario in quanto tale, l’unico presidio ad essere codificato ad oggi dall’ordinamento legislativo, dovrà essere infatti la soluzione alle trascorse e attuali pene disorganizzative. Non solo. Dovrà opporsi energicamente alle insidie del coronavirus, offrire sollecitamente i pratici rimedi alle patologie post-Covid e facilitare il ritorno all’offerta ordinaria sia territoriale che ospedaliera, con l’attenta mediazione delle Cot (Centrali operative territoriali), cui viene rimessa la presa in carico della persona umana bisognosa e il compito di indirizzarla in una delle dette due tipologie assistenziali.
Da, qui, la parola ai tecnici, a chi sappia programmare e pianificare la ineludibile riorganizzazione della assistenza territoriale, da tempo svanita, con il giusto ripensamento della politica e programmazione dei trasporti. Il tutto, individuando e utilizzando al riguardo tutto il prodotto infrastrutturale, esistente e programmato con il Pnrr, utilizzandolo in essa rinnovata rete stradale di comunicazione e nei servizi pubblici da rendere alla collettività.
Tutto questo finalizzato a dare una offerta immediata alla collettività, offesa dalla epidemia, e a riconsegnare i livelli essenziali dei trasporti, finalizzati alla esigibilità anche del diritto alla salute.
Un criterio, questo, non del tutto nuovo all’ordinamento, tanto da fare progettare con la legge delega n. 42/2009, attuativa dell’art. 119 della Costituzione, sanità e trasporto pubblico tra le quattro fondamentali metodologie di “servizio pubblico” che il cosiddetto federalismo fiscale ha previsto essere finanziate, non più con la spesa storica, bensì con i costi e fabbisogni standard ma assistite nella totalità del valore necessario dalla perequazione ordinaria al 100%, per territori con minore capacità fiscale per abitante. Intendendo per questi quelle Regioni in cui gettito fiscale non fosse sufficiente ad assicurare il livelli essenziali di prestazioni e pertanto bisognose dell’integrazione.

*Università della Calabria


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