Aziende e regioni

Dalle case di comunità ai "centri di comunità": proposta per il territorio

di Livio Garattini *, Alessandro Nobili *

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24 Esclusivo per Sanità24

L’Italia è stata la prima nazione europea drammaticamente colpita dalla pandemia Covid-19. Questo evento catastrofico ha posto l’assistenza sanitaria territoriale in una condizione di intensa pressione in tutto il Servizio sanitario nazionale (Ssn), mettendone in chiara evidenza le debolezze strutturali, in particolare quelle nei servizi di prima linea come la medicina generale. Il Programma nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), finanziato dall’Unione Europea, pone fra gli obiettivi principali la riorganizzazione del Ssn, in particolare a livello di assistenza primaria.
Come noto, l’assistenza territoriale è erogata a livello locale dai Medici di medicina generale (Mmg), tradizionalmente medici non dipendenti che lavorano individualmente. Diversamente dal resto d’Europa, in Italia sono presenti sul territorio due tipi di medici, uno per gli adulti (Mmg) e uno per i bambini (Pls, Pediatra di libera scelta). I Mmg devono intraprendere dei corsi post-laurea triennali programmati dalle autorità regionali e quindi non necessariamente uniformi. Questi corsi non sono formalmente equivalenti a quelli delle altre specialità mediche, gestiti dalle università, e la remunerazione dei tirocinanti è assai inferiore, rendendo i Mmg una sorta di medici di seconda classe rispetto agli altri colleghi medici.
I cittadini sono tuttora registrati con un solo Mmg e ciò rappresenta un ostacolo oggettivo per orientarli a lavorare in modo collettivo. Diversamente dai loro colleghi inglesi, storicamente stimolati al lavoro di gruppo da ripetute iniziative politiche, la maggioranza dei Mmg continua quindi a lavorare individualmente. I Mmg sono tradizionalmente medici libero-professionisti principalmente remunerati a quota capitaria fissata con contratti nazionali, sebbene ulteriori incentivi finanziari e tariffe per prestazione possano essere concordati a livello regionale e/o locale. In base all’attuale contratto collettivo nazionale, i Mmg sono formalmente obbligati a tenere aperti ai pazienti i propri ambulatori almeno 15 ore alla settimana. In effetti, dal punto di vista lavorativo molti Mmg sono tuttora equiparabili a ‘liberi professionisti’ pagati principalmente con fondi pubblici.
Nell’ambito dell’assistenza territoriale, in aggiunta ai Mmg e ai Pls, vengono erogati molti altri servizi sanitari e amministrativi da varie strutture locali del Ssn. Le vaccinazioni infantili, gli screening di massa sulla popolazione, le visite specialistiche, le consulenze per la pianificazione familiare, i servizi di salute mentale e domiciliari vengono erogati periodicamente in vari siti in modo assai difforme. In generale, questa frammentazione rende assai difficile la gestione dei servizi sanitari di comunità nell’ambito del Ssn e la loro dispersione disorienta tuttora i cittadini. Anche il limitato accesso giornaliero a questi servizi (Mmg e Pls inclusi) è diventato un problema rilevante nell’era attuale, caratterizzata da una popolazione sempre più anziana con poli-patologie croniche.
Alla luce di questo quadro assai poco incoraggiante e cercando di sfruttare nel migliore dei modi l’opportunità offerta dal Pnrr, la nostra proposta è quella di fondere i siti locali esistenti che erogano servizi diversi in "centri di comunità" aperti quotidianamente dodici ore nei giorni feriali per bacini di utenza ragionevolmente omogenei, con una logica distinzione fra urbani, rurali e montani per densità e ubicazione. Queste strutture dovrebbero includere tutte le professioni sanitarie e amministrative che lavorano nei servizi sanitari, inclusi Mmg e Pls, i quali dovrebbero divenire, analogamente alla maggioranza dei loro colleghi ospedalieri pubblici, professionisti a tempo pieno e in prospettiva medici dipendenti del Ssn. Con prevedibili vantaggi in termini di pianificazione e controllo, queste organizzazioni consentirebbero di estendere in modo sostanziale l’accesso quotidiano dei cittadini ai servizi territoriali, così filtrando in modo più efficiente anche i disturbi di lieve e moderata entità che generano gran parte degli accessi impropri ai pronti soccorsi ospedalieri. Grazie a questo forte consolidamento, la co-abitazione di un ampio ambito di operatori sanitari, sociali e amministrativi in organizzazioni di una certa dimensione dovrebbe permettere anche di minimizzare le sovrapposizioni amministrative, migliorare la gestione dei servizi fuori orario e la fornitura di assistenza domiciliare diretta e integrata per i pazienti non in grado di muoversi autonomamente, soprattutto quelli più anziani e fragili oramai privi di parenti, essendo questi ultimi tuttora i principali ‘badanti’ in nazioni come l’Italia tradizionalmente caratterizzate da una forte cultura familiare. Inoltre, la collocazione comune dovrebbe facilitare la comunicazione e la collaborazione fra colleghi di varie professionalità, migliorare il lavoro di squadra e, in prospettiva, permettere di sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici moderni di informazione e comunicazione come la telemedicina. Lo sviluppo di competenze tecnologiche nell’ambito di queste organizzazioni dovrebbe inoltre aiutare i medici a recuperare del tempo da dedicare ai pazienti (sempre e comunque la loro attività principale), così riducendo i loro sintomi da burnout professionale. Inoltre, queste strutture unitarie permetterebbero alla popolazione di comprendere assai più facilmente la gamma dei vari servizi sanitari territoriali forniti, al di là di facilitarne l’accesso ai cittadini che svolgono un’attività lavorativa.
A ben vedere, lo schema essenziale della nostra proposta di "centri di comunità" appare sostanzialmente in linea con quella delle Case di Comunità previste dal Pnrr per bacini di utenza di 30.000-50.000 abitanti. Tuttavia, le prime indicazioni su queste strutture sono a nostro avviso assai poco incoraggianti, mancando regole chiare e condivisibili sulla loro organizzazione, al di là di una prevedibile riluttanza da parte delle principali associazioni di categoria a modificare lo statu quo, con la proposta di farle frequentare ai Mmg 2-6 ore alla settimana come esempio più eclatante.
Concludendo, il periodo post pandemico fornisce un’opportunità irripetibile per migliorare la qualità dei servizi di assistenza territoriale nell’ambito del Ssn. Sforzandosi di combinare le varie parti per formare un tutt’uno, il vero nocciolo della questione è quello di passare da un atteggiamento mentale al "singolare" dei vari professionisti coinvolti a quello al "plurale" nell’erogazione dell’assistenza territoriale nel Ssn. Dopo aver abbandonato una volta per tutte anche il mito della concorrenza di mercato in sanità, privo di fondamenta teoriche e evidenze empiriche, un sistema sanitario di tipo pubblico rimane quello più favorevole alla promozione di cure integrate. La vera sfida futura è quella di rendere l’assistenza del Ssn centrata veramente sul paziente, rendendo contestualmente disponibili tutti i tipi di servizi pubblici in organizzazioni di una certa dimensione, a nostro avviso una priorità oramai imprescindibile per un’assistenza territoriale al passo coi tempi.

* Istituto Mario Negri Irccs


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