Aziende e regioni

Carenze sul territorio? Affidare le cure di base anche ai privati. La proposta del Santagostino

di Barbara Gobbi (da Il Sole-24Ore)

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«Occorre essere concreti e dire la verità ai cittadini: non ci sono abbastanza medici di famiglia per far fronte alla riorganizzazione del territorio e alla domanda di cure. Per questo proponiamo che la medicina di base oltre a essere erogata, come è oggi, dal singolo dottore convenzionato, diventi anche una prestazione ‘budgettata’, offerta da aziende sanitarie pubbliche o private accreditate. Ovviamente spetta agli utenti la scelta”. Chi parla è Luca Foresti, Ceo di Santagostino, rete di 31 poliambulatori specialistici (29 in Lombardia) fondata nel 2009 su un modello di sanità pensato per conciliare tariffe accessibili e qualità delle prestazioni, anche in ambiti come l’odontoiatria, la psicoterapia o la logopedia dove l’offerta Ssn è scarna a fronte di alti prezzi nel privato. Oggi, guardando alla riprogettazione della sanità che riparte dal territorio proprio per i tanti gap emersi con la pandemia, Foresti si rivolge a un altro potenziale bacino di utenza: quello che per la desertificazione della professione rischia di restare senza medico di famiglia. «Non si tratta di creare competizione ma di affrontare un problema di demografia professionale – spiega -: già oggi parte degli italiani non riesce ad avere il medico e domani la situazione sarà drammatica perché l’età media dei dottori di famiglia è 59 anni. Nei prossimi sei anni ne andranno in pensione 36mila su 50mila scarsi, a fronte di un ingresso dal corso di medicina generale di ‘appena’ mille nuovi dottori l’anno. Due le possibilità: la prima è aumentare ulteriormente il numero, che però è già alto, di pazienti in carico al singolo medico; la seconda, senza costi aggiuntivi per lo Stato, è affidare anche ad altri soggetti una medicina di base organizzata in team, con il supporto forte della tecnologia nell’interazione con il paziente. Un modello già testato con successo a Londra e in Finlandia, dove la medicina di base è erogata all’80% via chat e al 20% tramite visita fisica».
Sullo sfondo c’è il dibattito sul "Dm 71" di riordino dell’assistenza territoriale - in dirittura d’arrivo dopo mesi di concertazione tra ministero della Salute, Regioni e Mef - che traduce in realtà la Missione Salute del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una riorganizzazione che secondo Foresti sarebbe ‘zoppa’ di personale, per cui mancano sia soldi sia risorse umane formate in tempo utile. «A ben guardare – premette il Ceo del Santagostino – il Pnrr mette sul piatto un aumento di fondi contenuto: 15 miliardi in cinque anni quindi 3 mld l’anno, che vanno a investimento e non in spesa corrente. E non considera il costo di mantenimento di strutture come le case di comunità per cui a regime serviranno 4 miliardi annui. Poi c’è il tema dell’ingaggio nelle Cdc: per un reale cambio di passo il dottore di famiglia andrebbe arruolato in un team anche dal punto di vista contrattuale». Più facile a dirsi che a farsi: la costruzione del Dm 71 è stata condizionata dal tema dell’inquadramento dei medici di base, i cui sindacati difendono a spada tratta il regime libero-professionale. Anche e soprattutto, affermano, a tutela del rapporto di fiducia con il paziente. «Nella nostra proposta – replica Foresti - il rapporto di fiducia resta: può essere tra il paziente e un medico del team. L’importante è partire dai dati di fatto delle reali carenze di professionisti e dei bisogni di cura della popolazione avviando, ad esempio in una Regione come la Lombardia, una sperimentazione che per un anno consenta a una percentuale di abitanti a rischio di perdere il dottore di famiglia, di ricevere le prestazioni di medicina di base presso strutture accreditate. Secondo il criterio che non si certifica più il punto d’accesso, cioè "chi" eroga il servizio ma l’outcome e quindi la qualità. In ogni caso sarebbero il gradimento degli utenti e gli esiti di salute a indicare la strada».


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