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Intervista/ Diritto alle cure, Aceti (Salutequità): «Sbloccare subito il decreto Tariffe Lea anche "forzando" e senza compromessi al ribasso per i cittadini». Poi: procedere di pari passo con i Lep

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

«Sbloccare immediatamente il decreto Tariffe sugli ormai invecchiati "nuovi Lea", in ritardo di ben 5 anni rispetto al termine ultimo del 28 febbraio 2018 introdotto dalla legge di bilancio 2018, significherebbe riportare al centro i diritti dei pazienti, il cui perimetro anziché ampliarsi si è ridotto. E consentirebbe di finalizzare quei 200 milioni l’anno che la legge di Bilancio 2022, con una previsione innovativa, ha destinato all’aggiornamento e ammodernamento continuo dei livelli essenziali di assistenza, partita cruciale anche se si guarda alle novità poste dal Ddl sull’autonomia differenziata. Ma oggi si parla di tutto, nella politica sanitaria, fuorché di diritti reali, esigibili e uguali da nord a sud dell’Italia: sui Lea urge trovare la ormai proverbiale "quadra"».
A lanciare una "ultima chiamata" a Governo e Regioni per un via libera immediato al decreto Tariffe dei Lea, che da 5 anni vive una impasse drammatica per i pazienti con buona pace del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, è il presidente del think tank Salutequità Tonino Aceti. Che mette in fila gli elementi centrali di una "saga dei diritti perduti", ben poco avvincente per i cittadini.
Negli anni tentativi di accordo, testi, promesse e finanziamenti si sono susseguiti: proviamo a fare ordine?
Sei anni fa il decreto sui "nuovi Lea" per cui erano stati stanziati 800 milioni. Entro il 15 marzo 2017 avrebbe dovuto essere adottato già il relativo provvedimento di aggiornamento, poi la legge di bilancio 2018 aveva disposto l’approvazione, entro febbraio 2018, del tariffario necessario a erogare concretamente le nuove prestazioni ai cittadini. Oggi quelle tariffe, in un "rimpallo" tra Stato e Regioni, sono ancora ferme e con esse l’aggiornamento dei Lea a cui l’ultima manovra del Governo Draghi aveva destinato 200 milioni l'anno. Soldi a valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale e che le Regioni, in assenza del via libera al nomenclatore tariffario, avranno speso per finalità sicuramente meritorie ma non dedicate a innovare i Lea. Quelle risorse diventeranno 400 mln se anche nel 2023 si continuerà a sprecare l’occasione di finalizzarle per aggiornare i livelli essenziali di assistenza. Qualcosa sembra essersi mosso negli ultimi mesi: da gennaio il dialogo tra Salute e Regioni è ripartito con il tentativo di analizzare l’impatto economico del nuovo nomenclatore e l’auspicio è che si proceda molto velocemente per arrivare finalmente a un’Intesa in conferenza Stato-Regioni sul "decreto-madre", così da svincolare anche i soldi per l’innovazione continua. Contestualmente, la commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea sembrerebbe aver lavorato in un’ottica di delisting delle prestazioni obsolete a un aggiornamento isorisorse.
Un panorama complesso: e se l’accordo dovesse ancora tardare?
Spero che nell’ottica della leale collaborazione tra Stato e Regioni si giunga presto all’Intesa: ci sono tutte le condizioni per arrivare a un chiarimento sulle risorse, anche considerando che il Mef aveva già dato il suo ok. Se i soldi bastano si chiuda il cerchio, altrimenti si trovino immediatamente le risorse per il Tariffario, senza compromessi al ribasso per i cittadini. Dopo anni di pandemia con una rinuncia alle cure raddoppiata rispetto al 2019, una produzione del Ssn nei primi sei mesi del 2022 ancora inferiore al 2019, cure mancate, liste di attesa... credo che sia proprio arrivato il momento di rimettere al centro veramente i diritti e i pazienti.
Altrimenti? Che alternative ci sono?
I Lea sono una competenza esclusiva dello Stato e a poteri corrispondono precise responsabilità nei confronti dei cittadini: il Governo valuti anche l’ipotesi di "tirare una linea" e di procedere senza Intesa, così come è stato fatto per il Dm 77 per la riorganizzazione dell’assistenza sul territorio in attuazione del Pnrr. Per il Dm 77 in ballo c'erano molti soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza; nel caso dei Lea in ballo c'è il perimetro dei diritti esigibili dai cittadini, disattesi da 6 anni, nonché la fiducia nelle istituzioni e nel servizio sanitario pubblico. Procedere senza Intesa non sarebbe certo auspicabile, però la situazione va sbloccata, ora. E del resto anche il Ddl sull’autonomia prevede la nomina di un commissario ad hoc, qualora le attività della Cabina di regia per la determinazione dei Lep non si concludano nei termini stabiliti, cioè entro dodici mesi.
A proposito: per Lea e Lep due pesi e due misure?
Sui Lea si procede a ritmo di lumaca, contrariamente alla strada tracciata dal Ddl Calderoli che per i Lep fissa una procedura molto più scandita. Ma i due "livelli", considerando che la sanità è materia di autonomia, vanno di pari passo e questo balletto a cui assistiamo da 5 anni sui Lea non è affatto di buon auspicio in termini di equità: se l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza non sarà certo e continuo, le Regioni che otterranno ulteriori forme e condizioni di autonomia accresceranno il paniere dell’offerta sanitaria esigibile dai loro cittadini, ampliando la forbice, già netta, con le altre Regioni che non la richiederanno. Su questo il costante aggiornamento dei Lea rappresenterebbe una "livella" importante.


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