Dal governo

Pani (Aifa): Comitati etici, ne basta uno ma buono

di Luca Pani (Dg Aifa - dal Sole 24 Ore del 10 maggio)

Nuovi medicinali sono in arrivo. Alcuni saranno potenzialmente in grado di curare malattie per cui era impensabile sopravvivere sino a pochi anni or sono. La possibilità che le sperimentazioni cliniche necessarie ad autorizzarli siano effettuate nel nostro Paese dipenderà da una serie di fattori. In primo luogo dalla rapidità e accuratezza dei pareri resi dai Comitati Etici (CE) Italiani. Se le cose restano come sono, visto anche il nuovo Regolamento comunitario su «clinical trials» di cui parleremo a breve, non abbiamo alcuna possibilità di essere competitivi rispetto al resto del mondo. Se vogliamo portare in Italia sperimentazioni davvero di valore (dal punto di vista scientifico ma anche economico) dobbiamo concentrare le competenze dei Comitati Etici in uno solo nazionale, che rappresenti e deliberi per tutte le sperimentazioni italiane.
L'idea è semplicissima e, quindi, sarà difficilmente realizzabile in un Paese dove si verifica uno psicodramma ideologico ogni volta che si deve governare politicamente una qualunque questione scientifica e biomedica. Però in questo caso le motivazioni potrebbero essere più “materiali”. I CE sono finanziati prevalentemente dalle tariffe che incassano per le domande di studi clinici e conseguenti emendamenti. In questo siamo uno dei paesi più esosi d'Europa. In Italia, con debite e notevoli differenze tra le Regioni, sono tariffati emendamenti che non richiedono alcuna valutazione specifica, come per esempio il cambio dello sperimentatore principale perché il precedente è andato in pensione e chi lo sostituisce dirige la stessa unità/dipartimento. In altri casi si esige una tariffa per ciascun CE coinvolto in uno studio, con valori anche dieci volte superiori agli altri paesi europei. Questi costi e i tempi correlati all'espletamento di tutte le pratiche burocratiche sono tra gli aspetti che rendono l'Italia attualmente poco appetibile per la conduzione delle sperimentazioni cliniche.

Numeri e dubbi
I numeri lo dimostrano. Nel 2012 i CE erano 243 e ora, solo grazie al DM 08.02.2013 (Balduzzi) dovrebbero essere diventati 91 (dato aggiornato a oggi). Il condizionale è d'obbligo perché non abbiamo certezze sulla conclusione degli accreditamenti in tutte le Regioni. I CE di eccellenza Italiani dichiarano di restituire un parere unico dopo 10-23 giorni dalla richiesta (dimostrando ampia variabilità e grandi margini di miglioramento), quindi entro i trenta giorni massimi previsti dalle norme. Purtroppo i CE satelliti entrano frequentemente nel merito dopo la formulazione del parere unico, richiedendo nuovi chiarimenti, dati o altra documentazione, spesso del tutto illegittimamente, anziché accettare o rifiutare il parere come previsto. I tempi allora si allungano e il Paese perde sperimentazioni importanti. No, non è esatto, non le perde neppure perché conoscendo come vanno le cose molti sponsor non fanno neppure la domanda in Italia.
Eppure nel 2013, forse in seguito al citato D.M., ci era sembrato di vedere un barlume di fiducia e a fronte di circa 650 sperimentazioni e circa 2.000 emendamenti annuali, erano raddoppiate, per la prima volta nella nostra storia le sperimentazioni di Fase 1 che sono quelle che portano i farmaci per la prima volta nell'uomo e che quindi richiedono maggiore attenzione nella valutazione e maggiore cultura medico-clinica da parte degli sperimentatori. I dati preliminari che stiamo osservando riferiti al 2014 danno valori stabili o in lieve aumento sulle sperimentazioni totali e una lieve flessione proprio per le Fasi 1, probabilmente per ragioni burocratico-strumentali, anche a causa delle amministrazioni e non necessariamente sempre e solo per colpa dei CE. Una delle lamentele ricorrenti riguarda la richiesta da parte di ciascun CE di apportare modifiche anche minori e solo formali al consenso informato, con conseguente allungamento dei tempi e inutile proliferazione di documenti (negli altri paesi non è prassi avere consensi informati differenti per i vari centri di una stessa nazione). Altra criticità che ci esclude dai trial multinazionali importanti nonostante i nostri centri clinici di eccellenza e una popolazione numerosa, è dovuta alle procedure, a livello del singolo centro, così lunghe che quando in altri paesi si è già arruolato l'ultimo paziente noi stiamo ancora discutendo sul consenso informato, sul tipo di assicurazione o sul contratto; e la sperimentazione resta ferma. Infatti, a prescindere dal numero di sperimentazioni, uno dei problemi italiani è che, rispetto al resto d'Europa, abbiamo un tasso di arruolamento piuttosto basso. Tutte le decine di richieste di documentazione centro-specifica, quasi mai previste dalle norme, sono viste dagli sponsor come un inutile tentativo di ribadire delle rendite di posizione e come un appesantimento specifico per l'Italia che ci allontana dal resto del mondo. Solo la Spagna in tutta l'Europa ha più CE di noi, mentre anche la Francia ritiene ormai impossibile essere competitivi con il suo numero spropositato di CE (ne ha 39!).

La proposta
La proposta di dotarsi rapidamente di un unico CE nazionale discende dal Regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano che abroga la Direttiva 2001/20/CE. Il Regolamento, a differenza di una Direttiva che richiede atti di recepimento, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri prevedendo espressamente un'unica valutazione per Stato membro, quindi tutti i sistemi basati su una rete di CE per ciascuno studio dovranno essere progressivamente smantellati. Il Regolamento non potrà essere applicato prima del 28 maggio del 2016 e con varie deroghe (e una discreta confusione) riguardo al momento della richiesta di autorizzazione per una sperimentazione, si potrà arrivare sino a oltre il 28 maggio 2019.
I Paesi più illuminati, considerando che i tempi previsti dai Regolamenti per la valutazione di una sperimentazione clinica sono comunque sempre stretti, rigidi e inderogabili e sapendo che la Commissione sarà inflessibile con i comportamenti difformi da parte di diversi CE, stanno già discutendo del loro comitato unico nazionale. L'interazione tra l'Aifa che ha il ruolo di valutare la parte scientifica del dossier, e un singolo CE nazionale sicuramente faciliterebbe le procedure, diminuendo le complessità, riducendo i carichi di lavoro e dando risposte certe e rapide ai pazienti, evitando controdeduzioni ai dinieghi, contenziosi al Tar, e persino ridurre le procedure d'infrazione europea.
Nella dubbiosa speranza che un simile progetto veda la luce in tempi brevi, Aifa intende comunque avviare entro il 2015 uno studio pilota con alcuni CE di eccellenza per definire linee guida sulle rispettive competenze in materia di valutazione degli studi e simulare la modalità di interazione con un solo CE secondo quanto previsto dallo schema del Regolamento. Tutto ciò per tentare di non essere impreparati a un appuntamento che arriverà comunque.


© RIPRODUZIONE RISERVATA