Dal governo

«Caro Renzi ti scrivo». Studenti e ricercatori: ecco i nodi dell’università dietro agli slogan

di Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani Link, Coordinamento universitario)

«Caro premier Matteo Renzi, siamo studentesse e studenti, dottorandi, assegnisti e docenti dell'università. Abbiamo sentito le Sue dichiarazioni dei giorni scorsi a Porta a porta e Le scriviamo perché sentiamo la necessità di aprire un dibattito sulla questione da Lei sollevata, anche se solo di sfuggita. Perché è vero che, come dice Lei, è vent'anni che ci sentiamo dire che l'Università fa schifo e crediamo sia ora di analizzare con lucidità alcune questioni.
A differenza della Scuola l'Università ha subito dei profondi mutamenti in questi anni, dopo la legge 240 del 2010 che ha modificato tra le tante cose sia la modalità di distribuzione dei fondi sia la Governance. Addirittura i decreti attuativi della Riforma sono ancora in approvazione o sono stati approvati da pochissimo e gli atenei sono ancora in fase di adeguamento alle nuove norme. Nonostante tutto l'Università necessita di un nuovo cambiamento. Ma quali saranno le parole d'ordine di questa ulteriore riforma? Lei ha risposto: merito. Non è una parola nuova, anche la riforma Gelmini agitava la bandiera del merito e della lotta al baronato solo pochi anni fa e poi la sua riforma si è tradotta in restringimento degli spazi democratici all'interno dell'università e in un accentramento ulteriore di potere, mentre la fascia del precariato universitario aumentava sempre di più.
Oltre le facili parole d'ordine quindi è forse il caso di entrare proprio nel “merito” di alcuni problemi che passano sempre in secondo piano quando si attacca l'università dei baroni. Problemi che derivano da precise scelte politiche che continuano in modo initerrotto da anni. Il sottofinanziamento, su tutti. Anche quest'anno l'Ffo è in calo. Come si pensa di produrre didattica e ricerca di livello senza soldi?

La situazione del diritto allo studio è drammatica: i fondi, sempre esigui, non permettono di coprire la platea degli idonei alla borsa di studio. Recenti notizie alludono addirittura a un futuro potenziamento del sistema dei prestiti d'onore, strumento di indebitamento dello studente che sicuramente non va nella direzione di garantire il diritto dei meno abbienti a studiare. Anche la situazione dei giovani ricercatori è ormai diventata insostenibile: i tagli lineari e il sostanziale blocco del reclutamento che hanno caratterizzato questi anni si sono tradotti nella proliferazione di un precariato destinato a un'espulsione di massa dal mondo accademico. I primi provvedimenti (legge di stabilità 2015) in materia da parte del suo Governo non solo non hanno invertito questo trend ma hanno anzi indebolito uno dei pochi vincoli che favorivano l'accesso al ruolo. Nel frattempo ad assegnisti e neo dottori di ricerca, figure indispensabili per il funzionamento quotidiano dei nostri atenei, è negato qualsiasi ammortizzatore sociale, come conferma l'ingiustificabile esclusione dalla Dis-coll (la nuova indennità di disoccupazione).
Il divario tra atenei del nord e molti atenei del sud, peraltro favorito dalle politiche premiali nella distribuzione dei fondi, è sempre più evidente. La spaccatura che si sta verificando nel sistema universitario non può più essere ignorata: non possiamo accettare che le aree più deboli del Paese, in cui la formazione ha un ruolo ancora più centrale, perdano o debbano ridimensionare i loro atenei. Crediamo sia ora di cambiare verso, di entrare nel merito dei problemi, senza tabù, come dice lei, ma anche senza facili slogan che convincono molto ma risolvono poco».


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