Dal governo

Governatori. Il rinnovo del «parlamentino»

di Roberto Turno

Per loro è un banale «criterio di equilibri politici», per le malelingue altro non è che un cencellum applicato alle (e dalle) regioni. In poco più di un'ora ieri il parlamentino dei governatori, dopo però circa 2 mesi di incubazione e centinaia di consultazioni – qualcuno dice anche con Palazzo Chigi –, ha assestato lo scossone definitivo all'assegnazione delle poltrone di vertice tra le regioni nel ruolo di capofila (si potrebbero definire altrettante commissioni, come quelle parlamentari) per singolo settore pubblico. Trovando una quadra che di fatto conferma le precedenti “presidenze” di settore. Tranne che in un caso, quello probabilmente più delicato e in fondo più appetito anche se il più complicato di tutti: la sanità, che passa dal Veneto a trazione leghista all'Emilia Romagna col motore Pd di marca renziana.

I mal di pancia veneti
Un passaggio di consegne di cui si parlava da tempo e che ieri è diventato realtà. Con tanto di mal di pancia del governatore veneto Luca Zaia. Che non ha perso tempo a far sapere: «Se ci togliete la sanità vuol dire che non siamo capaci di presiedere niente». Così, detto e fatto, ha preso cappello e rinunciato a qualsiasi ruolo per il Veneto, da sempre ai posti di vertice. Ora non sarà così: il Veneto non avrà niente, anche se Zaia ha fatto sapere senza giri di parole che gradirebbe la presidenza dell'Agenas, l'Agenzia per i servizi sanitari regionali che peraltro non conta granché. Ma farà sempre di più, tranne che decidere.
Non che il passaggio di consegne non fosse stato già metabolizzato, né che in qualche modo non fosse quasi nello stato delle cose dopo che la maggioranza di centrosinistra nelle regioni è andata via via aumentando. Diventando ormai schiacciante, tranne i possedimenti forzisti-leghisti nel triangolo lombardo-veneto-ligure. Ma al Veneto la cosa non è andata affatto a genio. Sebbene i suoi alleati non si siano stracciati le vesti. La Lombardia ha conservato il primato nella commissione Affari finanziari , il cuore delle tribolazioni regionali, da sempre guidata con profitto anche se tra insuccessi (i tagli) crescenti. Ma ora a il Pd renziano ha fatto valere tutta la forza dei suoi numeri. Al centrodestra ha lasciato gli Affari finanziari ma non anche la sanità. Sebbene poi non è dal parlamentino regionale sulla sanità che si orientano le decisioni. Magari si hanno più conoscenze dirette, quello sì. E si concerta. Ora il Pd serra le fila. Tra l'altro mantiene alla Toscana istruzione, lavoro e ricerca, l'industria alle Marche, l'agricoltura alla Puglia, l'ambiente al Piemonte, le infrastrutture alla Campania. E la sanità, appunto, la gira agli emiliani diventati renziani doc. Senza dire del presidente dei presidenti, il governatore piemontese Sergio Chiamparino, renziano a modo suo.
Proprio Chiamparino ha messo a tacere le malelingue che sussurravano di un cencellum regionale: «Per le commissioni vale il criterio degli equilibri politici – ha spiegato –. Il presidente Zaia? L'ho visto più arrabbiato altre volte». Mentre il confermato coordinatore al bilancio, il leghista lombardo Massimo Garavaglia, chiariva: «Dispiace per il Veneto che ha ben lavorato. Ma la scelta è stata politica». Questione di contrappesi, appunto. Col governatore ligure Giovanni Toti che intanto aveva già conquistato uno dei quattro posti nell'ufficio di presidenza accanto a Chiamparino, con Rossi (Toscana), De Luca (Campania) e Pittella (Basilicata). E ora si comincia, con la manovra 2016. E i tagli allo studio al Fondo sanitario 2016 per 3,3 mld che fanno tremare tutte le regioni. Anche l'Emilia renziana, ora in prima fila.


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