Dal governo

Troise (Anaao): «Il gigantismo neocentralista delle aziende uniche»

di Costantino Troise (segretario nazionale Anaao Assomed)

La sanità pubblica sta perdendo la bussola, stretta come è tra confusi e conflittuali equilibri istituzionali, definanziamento progressivo, comunque mascherato ed etichettato, riorganizzazioni a getto continuo, l'ultima delle quali mira a socializzare le perdite e le inefficienze delle aziende universitarie, tutte, o quasi, a rischio di piano di rientro per disavanzi elevati. Eppure, con una coerenza degna di miglior causa, più o meno note manine hanno inserito all'interno di una legge finanziaria avara di risorse per i Medici dipendenti ed il Ssn, un articolo, già bocciato in precedenza, che mira a unificare le Aziende Ospedaliere Universitarie con le Aziende Sanitarie Locali.

Permettendo di estendere alle aziende territoriali, la radiosa esperienza delle aziende ospedaliero-universitarie, che superano, in questo modo , le mura ospedaliere per rendere anche nei territori l’assistenza sanitaria subordinata alle ragioni della didattica, vere o presunte che siano. Con l'alibi e il nobile proposito di ridurre le poltrone, si estende, cioè, l'ambito di influenza delle Facoltà di Medicina su bacini di servizi più vasti, in virtù di un meccanismo di intesa compromissoria tra rettore e governatore nella scelta del Direttore generale delle aziende sanitarie in cui insiste il triennio della Facoltà di Medicina, costretto a tenere i piedi in due scarpe, in costante conflitto di interessi. Non senza conseguenze sull’organizzazione del lavoro e sui costi. Infatti, grazie a norme contenute in quel Dlgs 517/99 che ha fallito completamente l'obiettivo dell’integrazione ospedale-università, all'interno di tali Aziende, nella scelta dei direttori di struttura assistenziale, non vale il principio del rapporto fiduciario, brandito dalle Regioni come un dogma indisponibile nei confronti del personale ospedaliero, non c'è obbligo di selezione e nemmeno di valutazione della coerenza del curriculum con l'incarico da svolgere. Una pacca sulle spalle al bar basta per affidare a professori , ad es., di clinica chirurgica, la direzione di strutture chirurgiche, e la formazione dei futuri chirurghi, anche se hanno scarsa dimestichezza con la frequenza delle sale operatorie. O, grazie alle equipollenze, privi di esperienza e competenza in merito alla disciplina della struttura cui vengono preposti.

Consentendo, così, a ricompensa di una mancata carriera accademica, la colonizzazione con personale universitario dei pochi posti apicali, ospedalieri e territoriali, sopravvissuti alla cura degli standard. Una ciliegina sulla torta, concessa alla Facoltà di Medicina dopo averle consentito di comportarsi da variabile indipendente del sistema sanitario, in tutte le Regioni, bianche, rosse e verdi, vero filo unificante del Paese, sostanzialmente al riparo da tagli ed estranea ad ogni progetto di riorganizzazione, priva di limiti e di obblighi sociali.

Occorre smontare la favola del risparmio per il Ssn, favola che in tempi di risorse scarse, costituisce un facile alibi , ricordando che il salario accessorio (quasi la metà dello stipendio) dei professori che clinicizzano le strutture ospedaliere è tutto a carico dei bilanci aziendali e non interno ai fondi contrattuali del personale dipendente.

E che l'orario assistenziale è la metà del debito contrattuale ospedaliero per un personale che, spesso, sfugge anche agli obblighi del controllo. Senza dimenticare nemmeno il diritto divino alla assegnazione di “programmi”, attribuiti “ad personam”, raramente sottoposti a valutazione, che attribuiscono lo stipendio di primario a personale universitario senza dirigere alcunché e senza la correlata responsabilità. Nessuno chiede a che titolo professori universitari ormai in pensione da anni, continuino ad occupare studi all'interno degli ospedali (corredati di segretarie, telefono, pc,) e a gestire per interposta persona.

O perché un'azienda del Ssn debba impegnarsi, come accade in Toscana, per oltre 18 milioni di euro per 15 anni per far assumere dei professori universitari “in discipline a particolare valenza ed impatto assistenziale, in tal modo garantendo le esigenze assistenziali senza che l'azienda debba provvedere ad ulteriori assunzioni di personale”. Alla faccia della occupazione dei giovani medici. Tantomeno notizie sugli esiti della formazione professionalizzante e sul rispetto dei volumi di attività richiesti dalle normative.

Occorre respingere l'ennesimo modello organizzativo improntato ad un gigantismo istituzionale in cui le regioni, all'inseguimento di un neocentralismo, vedono la scorciatoia per una catena di comando sempre più corta, con buona pace dei Cittadini e dei Sindaci, allontanati dai livelli decisionali delle politiche della salute. Senza remore ad affidare la assistenza sanitaria ad una istituzione che ha una mission diversa, quale la didattica e la ricerca, essendo la attività assistenziale limitata solo alla parte funzionale alle prime due, e che anche in questi campi consegue risultati non certo brillanti. Contribuendo alla diffusione di policlinici a gestione diretta universitaria, fermi restando per il Ssn tutti gli obblighi connessi al finanziamento.

Vogliamo sperare che il Parlamento cancelli questo colpo di mano o modifichi le norme che lo rendono appetibile, abrogando ingiustificati privilegi a scapito del merito e delle competenze e riportando la loro gestione all'interno delle regole comuni. Per evitare che i ruoli istituzionali continuino ad apparire confusi e sovrapposti, sotto le pressioni di un mondo che si assegna una alterità assoluta, nella quale intravede il solo modo di sopravvivere, che si ritiene e vuole essere “a parte”, sciolto da ogni legge, ordine, regole, confidando sul pensiero debole della politica.


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