Dal governo

La giostra delle cure in ospedale

di Roberto Turno e Lucilla Vazza (da Il Sole-24 Ore di oggi)

L'ospedale di Carate Brianza che effettua solo il 5,2% di parti cesarei primari, la clinica «Villa Cinzia» (Napoli) che invece usa il bisturi sul 95% delle pazienti. L'ospedale «Martini» (Torino) che interviene entro 2 giorni per la frattura del collo del femore, mentre il «Santa Maria delle Grazie» di Pozzuoli (Napoli) solo nello 0,8% dei ricoveri. Nel «Canistro» (L'Aquila) la degenza post intervento in laparascopia per i calcoli alla colicisti dura sempre meno di tre giorni, al «Mediterraneo» (Ragusa) e al «San Liberatore» di Atri (Teramo) non avviene mai. Eccola la giostra delle cure in corsia. Una sanità che migliora, più efficace ed efficiente anche solo di pochi anni fa. Ma col solito gap che continua a frantumare il Belpaese in tanti pezzetti. Col Centro-Sud che arranca, ma anche con importanti segnali di crescita, e il Centro-Nord che conserva la leadership generalizzata. Ma con frequenti oscillazioni anche in una stessa regione tra un ospedale e l'altro. Chi va bene, chi precipita nel ranking.

«Il sistema sanitario sta migliorando, ma il vero problema è il divario ancora troppo forte tra Nord e Sud. Qui dobbiamo focalizzare il nostro lavoro, come stiamo facendo anche con la manovra 2016»: così non a caso la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha commentato ieri i risultati 2014 del «Programma nazionale esiti» (Pne), frutto di un lavoro che ha visto in primo piano l'Agenas. Un progetto che ha raccolto 113 milioni di dati sui volumi di attività di tutti gli ospedali d'Italia, inclusi quelli accreditati. «In sanità non esistono cambiamenti rapidi, ma questi dati confermano che gli strumenti di valutazione migliorano la qualità dell'assistenza e danno modo alle strutture di confrontarsi e progredire», ha detto Francesco Bevere, dg di Agenas. «Potenziare l'audit è fondamentale», ha sottolineato Marina Davoli, direttore scientifico del Pne. «Grazie a questo progetto sappiamo dove si sbaglia e dove intervenire», ha ammesso Francesco Ripa di Meana, presidente Fiaso (manager Ssn).

Niente «classifiche», è la parola d'ordine. Anche se a scorrere i risultati non si può fare a meno di tirare le somme del “dare e dell'avere”. La Toscana, ad esempio, si conferma tra le best practice per qualità ed efficacia (e per risparmi), con Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Le altre regioni, dal Lazio in giù, stanno molto più indietro, sebbene con casi d'eccellenza e anche frequenti segnali di miglioramento. Ma non basta ancora.

Le differenze regionali sono marcate per tutti gli indicatori esaminati. Perché se è vero che la media di parti cesarei per il primo figlio dal 2010 è passata dal 28,3% di media al 25,7, in Campania il bisturi si usa ancora per un parto su due, con punte che raggiungono il 95,1 per cento. Tutto questo mentre in Lombardia, Toscana, Emilia, Friuli e Veneto la media è sotto il 20 per cento. Che sale esponenzialmente al Sud dove, oltre la Campania, spiccano in negativo poco sotto il 40% anche Sardegna, Molise Puglia. E non bastano eventuali fattori di rischio a giustificare le differenze. In Sicilia, per esempio, al «Gravina» di Caltagirone su 463 parti all'anno, solo il 7,7% è effettuato col cesareo. Stesso discorso vale per gli altri ambiti sotto la lente Agenas. Come l'infarto trattato con angioplastica coronarica in 2 giorni, che è salito dal 32% del 2010 al 41% del 2014: Sicilia, Toscana, Umbria e Liguria, Puglia sono al top, mentre la Basilicata è fanalino di coda, seguita da Calabria e Marche.

Un altro intervento-spia sono le fratture al femore operate entro 2 giorni: al 50% l'operazione avviene in media in 2 giorni, contro il 31% del 2010. Sono state evitate oltre 470mila giornate di degenza in quattro anni, 180mila solo l'anno scorso. Ma il gold standard internazionale dovrebbe superare l'80 per cento. Campania, Molise e Calabria hanno i valori più bassi; tra le grandi regioni sono in testa invece Emilia, Toscana e Veneto. Altro caso sono gli interventi di ricostruzione per tumore alla mammella: sono cresciuti dal 35% del 2010 al 45% del 2014. Ricostruzione, non demolizione, che per una donna ha un valore non solo simbolico. Il Sud, manco a dirlo, è sempre ultimo.


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