Dal governo

Cure ai migranti, ecco le 5 priorità del ministero della Salute e i problemi ancora aperti

di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano

Cure di prima accoglienza, gestione della gravidanza, patologie da lavoro e infortuni, medicina in condizioni di reclusione, tubercolosi. Sono queste le cinque priorità che saranno trattate nelle Linee guida sull’assistenza sanitaria ai migranti, in cantiere al ministero della Salute. Un raggio d’azione che riflette le difficoltà quotidiane che gli stranieri in ingresso e in transito nel nostro Paese incontrano con più frequenza. Un tema di forte attualità che coinvolge non solo l’Italia ma tutta l’Europa, alle prese con flussi migratori che necessitano di programmazione e risposte adeguate anche da un punto di vista sanitario. Non a caso, proprio Lungotevere Ripa ha appena ospitato la conferenza Oms di alto livello sulla salute dei rifugiati e dei migranti (v. intervista su «Il Sole 24 Ore Sanità» n. 43/2015 correlato).

Istituto superiore di sanità (Iss), Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e Istituto nazionale per i migranti (Inmp) sono in questi mesi al lavoro per produrre, si spera al massimo entro il prossimo autunno, le linee guida sui controlli sanitari per i migranti in arrivo. «A problemi concreti ma anche a tanti pregiudizi e disparità di interventi - spiega Salvatore Geraci, coordinatore dei Gruppi immigrazione e salute della Simm - l’Italia cerca finalmente di dare risposte meno legate all’emotività e con una strategia basata sull’evidenza». Il primo dei cinque capitoli è il più critico. Qui siamo praticamente all’anno zero, con le Regioni che nei Centri di prima accoglienza organizzano visite e controlli in ordine sparso, «limitandosi per il momento alla sorveglianza sindromica», come spiega Giovanni Baglio, medico ed epidemiologo dell’Inmp.

Poi c’è il grande tema della maternità, che resta un’area di fragilità a partire da un monitoraggio prenatale ridotto. Di best practice sparse sul territorio ce ne sono. Come quella sperimentata dal trial Iss sull’efficacia della visita domiciliare a dieci giorni dal parto, che ha dimostrato come una presa in carico tempestiva della madre migliori le condizioni psicologiche ma anche le modalità di contatto successive con i servizi sanitari da parte della donna. Gocce nel mare, rispetto a un’emergenza che va gestita in modo appropriato. Anche nei casi più problematici, come quelli delle vittime di tortura, che sono il 20-25% dei rifugiati e necessitano di un sostegno medico-psicologico specialistico. A Roma l’ospedale San Giovanni ha ospitato un ambulatorio dedicato che ha avuto in cura oltre mille pazienti tra il 2004 e il 2012, per poi essere chiuso due anni fa. Un servizio di nicchia, ma cruciale, che addetti ai lavori e utenti auspicano sia riattivato. Lo stesso Unhcr ha chiesto alla Regione Lazio di ripristinare il servizio.

Molti intanto sono i miti da sfatare, a cominciare da quello del profugo portatore di malattie: ad affrontare il lungo viaggio sono prevalentemente i più sani. E scabbia, pediculosi, ustioni da cherosene, stress, disidratazione e malnutrizione sono disagi che nascono durante la migrazione. Molto più frequenti di Tbc o o poliomielite. Perché, spiega ancora Baglio, «il viaggio che affrontano le persone in fuga è troppo lungo per Ebola ma troppo breve per la Tbc». Con l’Ebola o si guarisce o si muore prima di arrivare, mentre la Tbc può restare non diagnosticata.

La sfida è quindi nell’accoglienza più che nell’allarme. Lo conferma il report su «I nuovi pellegrini» appena presentato dal Censis, in occasione della mostra fotografica inaugurata a Roma dalla Fondazione Farmafactoring (in pagina alcune opere). Davanti ai principali disagi del Ssn, liste d’attesa in testa, italiani e stranieri pari sono. Ma per gli stranieri, che pure promuovono nel complesso l’impianto, l’umanità e la gratuità delle cure pubbliche, l’accesso resta estremamente complesso. Vuoi per barriere burocratiche (segnalate dal 13%), vuoi per difficoltà linguistiche (nel 33% dei casi anche a cinque anni dall’arrivo) o ancora per diffcoltà economiche: solo il 10,6% degli stranieri riesce ad accedere alle visite a pagamento a fronte del 29,2% degli italiani. Ma anche il pagamento del semplice ticket può scoraggiare. Per non parlare del nodo irrisolto che riguarda le esenzioni previste per i richiedenti asilo, ora limitate ai primi due mesi dall’ingresso in Italia (vedi pagine correlate de «Il Sole 24 OreSanità» n. 43/2015). Eppure, come spiega Patrizia Carletti, Osservatorio sulle Diseguaglianze nella salute della Regione Marche, «non esiste alcuna analisi economica che dimostra che questa misura comporta una riduzione dei costi, considerato anche che parliamo di appena 100mila persone su 61 milioni di cittadini italiani».

Non a caso il pronto soccorso resta la porta d’accesso più immediata: gli stranieri che ne usufruiscono, sempre secondo il Censis, sono 66 su mille (almeno una volta all’anno) mentre per gli italiani il rapporto scende a 23 su mille. Un dato che la dice lunga sulla distanza che ancora permane tra migranti, soprattutto se irregolari, e assistenza sul territorio. Che si tratti di Mmg o di pediatri. A tre anni dall’Accordo Stato-Regioni che ha reso cogente l’assegnazione del pediatra di base anche ai bambini figli di immigrati irregolari, solo Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Puglia e Sicilia si sono adeguate. In altre realtà, come Lazio, Campania e Liguria le cure primarie sono garantite solo ai bambini in possesso di codice fiscale. Per gli altri minori irregolari si è in attesa di una circolare del ministero della Salute, che ancora non ha visto la luce. Buona parte dei circa 15mila minori figli di irregolari sul territorio italiano, sta ancora aspettando.


© RIPRODUZIONE RISERVATA