Dal governo

Fondi Ue/ la spesa è ingolfata: per la sanità una miniera d’oro dimenticata

di Pierino di Silverio (direttivo nazionaleAnaao giovani)

La rilevazione comunitaria sui fondi strutturali europei mostra che gli unici Paesi che non hanno rispettato il livello di spesa stabilito con uno scostamento superiore al 20% sono stati la Grecia e l’Italia; la Lituania e l’Ungheria hanno presentato uno scostamento negativo superiore al 10% e in altri sei Stati membri il disavanzo è risultato modesto (Germania, Estonia, Lettonia, Portogallo, Austria, Regno Unito); tutti gli altri Paesi hanno invece mantenuto gli impegni presi oppure hanno realizzato una spesa anche superiore.

Entro la fine del 2013 l’Italia deve impegnare un totale di 27,9 miliardi di euro e deve poi spenderli entro il 2015. La quota maggiore riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale (21 miliardi), mentre il resto è appannaggio del Fondo sociale europeo (6,9 miliardi). Il primo è lo strumento per la politica regionale della Commissione europea, mentre il secondo serve soprattutto a sostenere l’occupazione.

A questi soldi vanno aggiunti 21,5 miliardi di cofinanziamento con fondi nazionali, arrivando così a 49,4 miliardi: ogni volta che arriva un euro dall’Europa, i paesi membri devono investire qualcosa di tasca propria.

Il nostro Paese ha cominciato a spendere questi soldi nel 2007 e ha poco più di due anni di tempo per chiudere il lavoro. Eppure, secondo i numeri aggiornati allo scorso maggio, siamo molto indietro rispetto alle scadenze.

Abbiamo, infatti, raggiunto appena il 40% della dotazione totale spendendo, con il cofinanziamento nazionale, soltanto 19,7 miliardi di euro. Questo significa che, nel (poco) tempo che ci rimane, abbiamo ancora da impiegare circa 30 miliardi complessivi, 17 dei quali in arrivo da Bruxelles.

Il Lazio, ad esempio, a oggi ha speso 324,3 milioni di euro: soltanto entro la fine del 2013 dovrebbe utilizzarne circa 100 in più.

Ma è soprattutto il Sud che sta sprecando risorse importanti: la Calabria, ad esempio, entro la fine dell’anno dovrebbe spendere 123,5 milioni, la Sicilia 220 e la Puglia, addirittura, 250.

In valori assoluti i versamenti sono passati dai 14,02 miliardi del 2007 ai 15,1 miliardi del 2008 (comprensivi della voce legata all’amministrazione).

E dal 2008 al 2011 i contributi sono aumentati di altri 900 milioni, toccando quota 16 miliardi nel 2011. Gli incassi europei hanno viaggiato sulla corsia di marcia opposta, scendendo dagli 11,3 miliardi del 2007 ai 9,5 miliardi del 2011.

Dati che ci dicono come tutto ciò che spendiamo ricorrendo ai finanziamenti europei, in realtà proviene direttamente dal nostro Paese.

Da gennaio a maggio, quando è stato fatto l’ultimo monitoraggio ufficiale, sono stati spesi peraltro per progetti nelle aree svantaggiate solo 1,3 miliardi sui 13,6 rimasti dalla programmazione 2007-2013 che ammontava a 46,6 miliardi totali.

I tempi sono stringenti ma, considerando che a oggi, secondo il rapporto Oasi 2013 presentato dal Cergas, 7 delle 10 Regioni in Piano di rientro risultano inadempienti o parzialmente inadempienti nel mantenere i Livelli essenziali di assistenza (Lea), se non ancora irrecuperabile, la situazione è critica e non si può indugiare oltre.

E dire che dopo Polonia e Spagna il nostro è il terzo paese membro a ricevere più soldi comunitari e sale al secondo triste gradino del podio tra quelli che ne usano di meno, peggio di noi fa solo la Romania.

Ma come mai l’Italia non riesce ad attingere a questa miniera d’oro?
Scontiamo agli occhi della Commissione europea, l’organo di vigilanza riguardo le spese comunitarie che può decidere di bloccare i finanziamenti, innanzi tutto l’incapacità progettuale delle amministrazioni nazionali e locali, che spesso neppure prendono in considerazione i fondi a esse destinati. Ma non mancano le lacune nella gestione e le pesanti irregolarità non rettificate nelle dichiarazioni di spesa degli enti di casa nostra.

Le cause principali del mancato utilizzo dei fondi europei sono di quattro tipi: scarse competenze degli enti locali in euro-progettazione, a livello legale, amministrativo, civilistico, economico-finanziario e tecnico-gestionale; deficit di programmazione di medio-lungo termine; scarso raccordo istituzionale e criticità connesse alla governance dell’innovazione; eccessiva frammentazione dimensionale e territoriale dei progetti, con il conseguente rischio di proliferazione di procedure, obiettivi e misure e l’appesantimento del lavoro amministrativo-burocratico.

Il cambiamento di rotta via fondi strutturali comunitari è un’opportunità che l’Italia, oggi più che mai, non può perdere. Il 22 aprile è stata la data ultima per presentare a Bruxelles il nuovo Accordo di Partenariato tra il Governo e la Commissione europea. Questo documento di programmazione, articolato in 11 obiettivi tematici, permette di sbloccare il ciclo di fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020, un pacchetto da 32 miliardi di euro. A questi si aggiungono i circa 22 miliardi del precedente settennato da spendere entro la fine del 2015.

Insomma, a oggi, manca una politica “europea” di programmazione, gestione, utilizzo dei fondi europei che, vengono sfruttati male e a macchia di leopardo, come succede in ogni azione, se on esiste standardizzazione del processo, non si ottiene il risultato... ma queste sono basi di managment sanitario ed economico... dovrebbero conoscerle i nostri governanti.

LA MAPPA DEI FONDI UE

Esistono due tipi di fondi europei:

1. Fondi diretti
Finanziamenti la cui gestione è direttamente effettuata dalla Commissione europea che stabilisce autonomamente i criteri e i princìpi di funzionamento dei vari programmi.

Queste risorse finanziarie sono dunque regolate da un rapporto diretto tra la Commissione europea e gli utilizzatori finali.

I fondi diretti si dividono in:

programmi intracomunitari , che coinvolgono i Paesi membri dell’Unione e riguardano politiche interne di interesse europeo (ad esempio le politiche giovanili, la giustizia, l’ambiente, ma soprattutto l’innovazione);

programmi di cooperazione esterna , che promuovono la cooperazione dei Paesi membri con Paesi terzi rispetto all’Unione.

Questa tipologia di fondi finanzia progetti di respiro europeo che devono riguardare un’idea innovativa e meritevole di applicazione industriale, ossia remunerativa, e coinvolgere almeno tre partner di tre Paesi differenti. La domanda di finanziamento deve descrivere il progetto in tutte le sue parti, compreso il budget e le previsioni di spesa, divise tra i partner.

2. Fondi strutturali (o indiretti)
Erogati dalla Comunità, ma gestiti dai Paesi membri attraverso i Pon (Programmi operativi nazionali) e i Por (Piani operativi regionali). In Italia vengono gestiti dalle Regioni.

I fondi, in questo caso, non sono assegnati direttamente dalla Commissione europea. Nei finanziamenti indiretti, il budget viene speso attraverso un sistema di «responsabilità condivisa» tra la Commissione europea da una parte, e le autorità degli Stati membri dall’altra.

Il rapporto con il beneficiario finale pertanto è mediato da autorità nazionali, regionali o locali che hanno il compito di programmare gli interventi, emanare i bandi e gestire le risorse comunitarie.

Il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr)
Finanzia infrastrutture e attrezzature sanitarie, l’assistenza sanitaria online, la ricerca e il sostegno.

Il Fondo sociale europeo (Fes)
Finanzia attività in campo sanitario legate all’invecchiamento attivo e in buona salute, alla promozione della salute e alla lotta contro le disuguaglianze in campo sanitario, al sostegno alla salute dei lavoratori e al rafforzamento delle capacità della pubblica amministrazione.

La programmazione dei fondi
Gli interventi e i progetti finanziati dal bilancio Ue rispecchiano le priorità stabilite dall’Unione in un determinato momento. Essi sono raggruppati in grandi categorie di spesa (i cosiddetti «capitoli») e in base a 31 diverse aree d’intervento.

Il bilancio Ue finanzia interventi e progetti in settori nei quali tutti gli Stati membri hanno deciso di agire nell’ambito dell’Unione, e questo perché, in determinati campi, è possibile massimizzare i risultati e ridurre le spese unendo le forze.

Nel febbraio 2013, la Commissione ha adottato la politica “Investire nella salute” (come parte del pacchetto di investimenti sociali), che presenta la salute come un valore in sé e come un investimento “crescita-friendly”. Si consiglia di investire in tre aree chiave:

la sostenibilità dei sistemi sanitari,

la salute delle persone come capitale umano,

riduzione delle disuguaglianze sanitarie.

L’Ue raccomanda inoltre agli Stati membri «un adeguato sostegno da fondi europei» per la salute.

Il Programma per la salute 2014-2020
Il nuovo «Programma per la Salute» 2014-2020 ha una dotazione finanziaria di 449 milioni di euro.

Esso ha come obiettivi:

1. contribuire a sistemi sanitari innovativi e sostenibili;

2. migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria migliore e più sicura per i cittadini;

3. promuovere la salute e la prevenzione delle malattie;

4. proteggere i cittadini dalle minacce sanitarie transfrontaliere.

Le principali novità procedurali riguardano:

semplificazione delle regole d’intervento,

riduzione dei costi di partecipazione,

creazione di uno sportello unico per facilitare l’accesso ai fondi.

La Commissione ha pubblicato una guida in cui illustra agli Stati membri e ai potenziali beneficiari quali ambiti del settore sanitario possono essere sostenuti dai fondi 2014-2020:

ricerca e innovazione nella salute, sostegno alle Pmi e sanità online;

promozione della salute, invecchiamento attivo e in buona salute, sul posto di lavoro;

accesso all’assistenza sanitaria, compensazione delle disparità sanitarie, salute mentale;

transizione da un’assistenza basata sulle istituzioni a un’assistenza basata sulla comunità, inclusi gli investimenti nelle infrastrutture e attrezzature;

capacità e riforma dei sistemi sanitari per un’assistenza efficace e sostenibile;

operatori sanitari, istruzione e formazione permanente dei professionisti della salute;

assistenza sanitaria transfrontaliera e collaborazione tra Stati membri e regioni.

L’obiettivo della politica di coesione dell’Ue, anche per il periodo 2014-2020, è ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni d’Europa, facendo ricorso principalmente ai fondi strutturali.


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