Dal governo

Un trip advisor per la Pa, la trasparenza non può fare a meno della citizen satisfaction

di Sergio Talamo

Il decreto trasparenza varato dal Governo in attuazione della delega contenuta nell'articolo 7 della legge 124/2015 è ora all'esame del Parlamento. Le richieste emendative sono ormai molto numerose, a cominciare da quelle suggerite da Consiglio di Stato e Anac, e certamente hanno molte ragioni, specie in merito all'estensione e alle modalità del possibile diniego dell'atto e alle relative tutele concesse al proponente. La riforma del Dlgs 33/2013 è infatti segnata dall'obiettivo della “total disclosure”, e non a caso, oltre ad alleggerire gli adempimenti richiesti alle Pa, il decreto estende l'accesso civico ben oltre i paletti degli “obblighi di pubblicazione” fissati nel 2013 (“l'esercizio del diritto di cui al comma 1 - dice il decreto - non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica chiaramente i dati richiesti, non richiede motivazione ed è trasmessa all'ufficio che detiene i dati (...)”). Ma, è stato notato, la trasparenza totale viene di molto affievolita nel momento in cui a) le fattispecie che consentono alle Pa di negare gli atti richiesti sono troppo vaghe; b) non è previsto l'obbligo di fornire delle motivazioni (il meccanismo del “silenzio-dissenso” entro 30 giorni); c) sono farraginose, lente e costose le modalità con cui al cittadino è consentito di ricorrere contro il mancato adempimento (Tar con spese a suo carico).

Il paradosso della trasparenza totale
La valutazione del decreto e dei relativi spazi di miglioramento resta però viziata da una sorta di assioma, quello della Pa “esplorabile” sempre, su tutto e da chiunque. Si tratta di un equivoco che, se tradotto in norma, rischierebbe di intralciare l'efficacia dell'attività amministrativa, finendo per ledere un importante principio costituzionale. Non solo: una nozione così rigida e ideologica della trasparenza totale non sarebbe davvero utile neppure ai suoi destinatari. L'equivoco, infatti, è presumibilmente legato a due fattori. Da una parte, l'eccessiva concentrazione sulle finalità della trasparenza come antidoto alla corruzione. Dall'altra, un'analisi non sufficientemente approfondita sui reali “bisogni” dell'utenza: cittadini e imprese non traggono il maggiore giovamento da un dato purchessia, ad esempio sul bilancio o sul personale. Il vero beneficio è dato dalla trasparenza relativa agli standard di servizio resi dalle Pa. Se quindi ogni dato può astrattamente essere utile - e per questa ragione il “catalogo delle eccezioni” va ridefinito e delimitato, così come le procedure di ricorso contro il diniego - resta centrale, per utenti di servizi che insistono su questioni centrali della vita (salute, lavoro, pensioni, infanzia, istruzione), e operano sovente in condizioni di monopolio, la massima trasparenza sulla qualità delle prestazioni.

L’abolizione delle indagini di “citizen satisfaction”
In questo senso, un punto-chiave su cui il decreto dovrebbe ritornare è quello che riguarda l'abolizione, fra gli obblighi di pubblicazione, delle indagini di customer satisfaction (più esattamente, di “citizen satisfaction”). Tali indagini, nonostante varie indicazioni in tal senso pervenute negli anni dalla Funzione pubblica, non sono certo abituali nell'azione delle pubbliche amministrazioni. Va da sé che l'obbligo di pubblicazione di dati in questo caso equivale a sollecitare l'atto stesso di produrli, con evidenti vantaggi per una Pa spesso ancora molto autoreferente. Inoltre, solo l'impatto con l'utenza può dare forma a una reale valutazione di performance, parametro che la legge prescrive dal 2009 ma che ancora non ha prodotto un effettivo cambiamento in senso manageriale delle attività pubbliche.
Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta. L'articolo 35, comma 1, del Dlgs 33/2013 stabiliva che “le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati relativi alle tipologie di procedimento di propria competenza. Per ciascuna tipologia di procedimento sono pubblicate le seguenti informazioni (...) “; e al comma 1n indicava “i risultati delle indagini di customer satisfaction condotte sulla qualità dei servizi erogati attraverso diversi canali, facendone rilevare il relativo andamento”. Molto interessante, come si può notare, non solo la norma che impone di rendere pubblica la customer ma anche il riferimento al “relativo andamento”. Ciò sta a testimoniare che il legislatore del 2013 riteneva strategico che dal giudizio dei loro utenti le Pa traessero indicazioni di miglioramento o rimodulazione dei servizi. Nel decreto trasparenza reso noto lo scorso febbraio, invece, si stabilisce che tale obbligo è, fra vari altri, abrogato. Risultato: le Pa ricevono un segnale di disinteresse del Governo verso il fondamentale confronto - che per essere incisivo deve risultare strutturato e stabile - con le opinioni e le aspettative degli utenti. E tali utenti, dal canto loro, perdono la possibilità di ottenere dati “trasparenti” e attendibili (perché resi da altri cittadini) sul concreto funzionamento dei servizi. Nell'era delle interazioni social e di Trip Advisor, è davvero un pesante paradosso su cui è auspicabile un ripensamento.

Osservazioni finali
Per fare un esempio pratico, nella recente Relazione annuale dell'Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma Capitale, i cittadini romani - interpellati su igiene urbana, asili nido, trasporto pubblico e mobilità, luce e parchi, cultura - forniscono “pagelle” di sorprendente precisione: promosse le istituzioni culturali (tipo Palaexpo o Auditorium), così come asili e parchi, “rimandati” i lavori di manutenzione del verde pubblico e di gestione delle aree per bambini, severamente bocciati trasporto pubblico e igiene urbana. Il tutto arricchito da interessanti corrispondenze fra valutazione negativa o positiva e investimenti effettuati e da confronti con gli standard di altre grandi città continentali. Il nuovo Sindaco (o Sindaca) di Roma farà bene a partire da queste valutazioni. Ma dobbiamo chiederci se la nostra Pa può permettersi di rinunciare ad un modello di trasparenza così strettamente legato alla partecipazione civica.


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