Dal governo

I 7 «no» dei 56 costituzionalisti alla Riforma Renzi

di Red. San.

Si dicono «preoccupati» per la riforma costituzionale del governo Renzi , che incassato il via libera del Parlamento il 12 aprile scorso, sarà sottoposta, in autunno, a referendum confermativo. Preoccupati sia per ciò che attiene il metodo sia per il merito: perché è una riforma presentata come “di una maggioranza” e non come frutto di un ampio consenso politico; perché è lontana in molti punti, in primis nel ridisegno del Senato, dal favorire l’apertura alla partecipazione popolare. Infine, perché la sua approvazione referendaria è presentata come determinante ai fini della permanenza in carica o meno dell’esecutivo.
Cinquantasei costituzionalisti, guidati da Valerio Onida, gettano più ombre che luci sulla Riforma Renzi: in un documento in 7 punti spiegano i perché.

I 7 punti critici
1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma - ascritto ad una iniziativa del Governo - si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare («abbiamo i numeri») anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perche' anche il modo in cui si giunge ad una riforma investe la stessa “credibilita'” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stato un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.
2. Nel merito, riteniamo che l'obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell'attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al Governo, sia stato perseguito in modo incoerente e 2 sbagliato.
Invece di dare vita ad una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si e' configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell'approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l'assetto regionalistico, ne' funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti - con modalità rinviate peraltro in parte alla legge ordinaria - anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell'organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch'esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo e' secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.
3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.
4. L'assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l'ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia - che non possono mai essere separate con un taglio netto - ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall'altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, 3 ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli quindici anni di distanza, a rovesciarne l'impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.
5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del paese, e sembrano invece un modo per strizzare l'occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all'esercizio dei poteri.
6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del Governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del Governo che ne caratterizzano l'indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro ad un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.
7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto. Inoltre, se il referendum fosse indetto - come oggi si prevede - su un unico quesito, di approvazione o no dell'intera riforma, l'elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell'altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (così come se si fosse scomposta la riforma in piu' progetti, approvati dal Parlamento separatamente).

I firmatari:
Francesco AMIRANTE Magistrato
Vittorio ANGIOLINI Universita' di Milano Statale
Luca ANTONINI Universita' di Padova
Antonio BALDASSARRE Universita' LUISS di Roma
Sergio BARTOLE Universita' di Trieste
Ernesto BETTINELLI Universita' di Pavia
Franco BILE Magistrato
Paolo CARETTI Universita' di Firenze
Lorenza CARLASSARE Universita' di Padova
Francesco Paolo CASAVOLA Universita' di Napoli Federico II
Enzo CHELI Universita' di Firenze
Riccardo CHIEPPA Magistrato
Cecilia CORSI Universita' di Firenze
Antonio D'ANDREA Universita' di Brescia
Ugo DE SIERVO Universita' di Firenze
Mario DOGLIANI Universita' di Torino
Gianmaria FLICK Universita' LUISS di Roma
Franco GALLO Universita' LUISS di Roma
Silvio GAMBINO Universita' della Calabria
Mario GORLANI Universita' di Brescia
Stefano GRASSI Universita' di Firenze
Enrico GROSSO Universita' di Torino
Riccardo GUASTINI Universita' di Genova
Giovanni GUIGLIA Universita' di Verona
Fulco LANCHESTER Universita' di Roma La Sapienza
Sergio LARICCIA Universita' di Roma La Sapienza
Donatella LOPRIENO Universita' della Calabria
Joerg LUTHER Universita' Piemonte orientale
Paolo MADDALENA Magistrato
Maurizio MALO Universita' di Padova
Andrea MANZELLA Universita' LUISS di Roma
Anna MARZANATI Universita' di Milano Bicocca
Luigi MAZZELLA Avvocato dello Stato
Alessandro MAZZITELLI Universita' della Calabria
Stefano MERLINI Universita' di Firenze
Costantino MURGIA Universita' di Cagliari
Guido NEPPI MODONA Universita' di Torino
Walter NOCITO Universita' della Calabria
Valerio ONIDA Universita' di Milano Statale
Saulle PANIZZA Universita' di Pisa
Maurizio PEDRAZZA GORLERO Universita' di Verona
Barbara PEZZINI Universita' di Bergamo
Alfonso QUARANTA Magistrato
Saverio REGASTO Universita' di Brescia
Giancarlo ROLLA Universita' di Genova
Roberto ROMBOLI Universita' di Pisa
Claudio ROSSANO Universita' di Roma La Sapienza
Fernando SANTOSUOSSO Magistrato
Giovanni TARLI BARBIERI Universita' di Firenze
Roberto TONIATTI Universita' di Trento
Romano VACCARELLA Universita' di Roma La Sapienza
Filippo VARI Universita' Europea di Roma
Luigi VENTURA Universita' di Catanzaro
Maria Paola VIVIANI SCHLEIN Universita' dell'Insubria
Roberto ZACCARIA Universita' di Firenze
Gustavo ZAGREBELSKY Universita' di Torino


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