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Mortalità cerebrovascolare, la strage ignorata (e silenziosa) delle donne: cosa fare, ministra Lorenzin?

di Maurizio Cinquegrani (docente Medicina Interna, Corso integrato di Emergenza Medico Chirurgica, Università degli studi di Messina)

La mortalità cerebrovascolare sembra sempre più evidentemente un problema al femminile. L’asimmetria sociale ha raggiunto un peso determinante, che si aggiunge ai fattori genetici e ambientali, con il rischio di minare la coesione sociale e la crescita del paese. Può una strage di donne passare inosservata alla scienza e alle coscienze di oggi e al potere innovativo dello Stato?

Il rischio cerebrovascolare è la terza causa di morte per le donne, nel 2013, sono stati 58.373 i decessi complessivamente di cui il 60,36% donne. Con livelli di mortalità del 20% più alti dell'uomo, in media (su dati Istat e Dasoe). In realtà come aveva già segnalato sul Sole 24 ore-Sanità, trattando del progetto Ora cuore di donna (8-14 marzo 2016), sull'onda di quest’analisi preliminare condotta all'inizio sui dati siciliani, abbiamo spinto lo studio di tali dati (2013) e abbiamo osservato nei vari comuni capoluoghi di regione e di provincia la percentuale della distribuzione della malattia cerebrovascolare, usata nelle carte Istat come prima causa di morte e rapportata al sesso e territorio.

Messina incubo per le donne, Matera città virtuosa
Mentre la malattia coronarica vede mediamente prevalere il sesso maschile per pochi punti percentuali, con incostante distribuzione della prevalenza nelle città, l'osservazione dei dati della mortalità cerebrovascolare certifica la prevalenza della malattia mediamente del 20% sull'intero territorio nazionale, con in Sicilia, Messina a fare da città-leader della mortalità cerebrovascolare (63.81%) per la donna , con un delta del 27,62 rispetto all'uomo, dato che pone il capoluogo più in alto anche di tante altre città di dimensioni maggiori sparse sul territorio nazionale. Nei limiti inferiori appare l'eccezione di Matera verosimilmente l'unico caso d'Italia in cui i dati s'invertono ed é l'uomo che qui presenta una maggiore prevalenza del 4.5% di mortalità per cause cerebro vascolari.

Donne a rischio nel nord-ovest d'Italia e la massima differenza per la donna rispetto all'uomo si evidenzia ai confini del Nord (70% Valle d'Aosta, 70% Sondrio e 68% Gorizia). Ogni massimo ha il suo opposto ed ecco che dall'osservazione di queste serie numeriche , emerge che al di sotto del 10% di prevalenza di mortalità cerebrovascolare esistono delle sacche (enclavi) prevalentemente nelle regioni meridionali, in Sicilia e Sardegna e alcuni casi sporadici nelle Marche e come detto Matera.

Le numerose osservazioni scientifiche dell'Istituto Superiore di Sanità, avevano già rilevato negli ultimi anni un cambiamento del profilo di rischio della donna che si accinge a scavalcare l'uomo anche per il rischio di mortalità cardiologica (nel 2013, ci sono stati 71.572 decessi per cardiopatia ischemica; 48.73% donne e 51.27% uomini). Non possiamo più stare in attesa, dinanzi alla drammatica totalità di questi dati, dobbiamo richiedere la rivalutazione delle carte del rischio ( europee e italiane) , strumenti di Sanità che finora hanno privilegiato l'uomo, lasciando che la donna andasse incontro al suo destino, priva di protezione e di un opportuno iter diagnostico - terapeutico, che preveda liste di attesa strutturate e personalizzate, non essendo giustificabile infatti che si attinga alle stesse liste di attesa di chi ha invece una mortalità del 20-30% inferiore. Diversa la strategia d'intervento per ridurre il rischio, in quanto la malattia è diversa, le donne dopo la menopausa sono maggiormente esposte a ipertensione, fumo, obesità, diabete, ridotta attività fisica, pagano ancora il prezzo di una minore scolarizzazione, pagano maggiormente l'asimmetria sociale della povertà (che incide in Sicilia nelle classi meno abbienti con un ulteriore 15% di rischio) e nascere donna al Sud riduce il famoso vantaggio di speranza di vita rispetto all'uomo che ha invece una donna nata al Nord.

Già gli inglesi con il “black report” del 1980 avevano studiato come le diseguaglianze nella salute e le prospettive di vita fossero legate al reddito, aggravando la scarsa coesione sociale delle società evolute in periodi di crisi. Recentemente in America la rivista scientifica Jama ha parlato di ampliamento nel divario nell'aspettativa di vita fra più ricchi e più poveri (periodo 2001-2014) sino 15 anni per l'uomo e 10 anni per la donna. Una strada per un intervento potrebbe essere quella dello studio di queste enclavi che manifestano un rischio più contenuto (in tali sedi, oltre la genetica, l'esposizione all'ambiente é pari in donna e uomo).

Pertanto proponiamo alla ministra della Sanità, Beatrice Lorenzin, di far condurre uno studio su tali piccoli sistemi, alla ricerca di un modello matematico che potrebbe parlare alla Nazione di un diverso rischio certo per la donna e di come affrontarlo, senza necessità di estendere l'analisi su tutto il territorio nazionale, seguendo le logiche della spending review. In realtà il Servizio sanitario nazionale non ha necessità solo di ottiche galileiane per scrutare gli orizzonti, ma deve munirsi di lenti d'ingrandimento da affidare a gruppi giovanili per esaminare gli enormi flussi di dati di cui è ricca, per diventare centro di dialogo, Centro di formazione sociale, per far diventare capaci i giovani, di imparare dalle urne dei forti. Tutto questo potrà avvenire solo se si uniscono le conoscenze, se si affiatano i cuori come quello di un medico internista che ha cura del paziente nella sua interezza, di malattia e di umanità e come una madre attenta è anche capace di risparmiare il possibile per investire nel futuro. Dallo studio attento del territorio nasce anche la limitazione e riorientamento della spesa.
Lo Stato deve farsi carico anche in questo caso di nuovi programmi di indirizzo che amplino le coscienze, formando dei ricercatori multicompetenti, le vere pietre miliari dell'evoluzione. La richiesta al Governo è di una nuova strategia d'intervento, con formazione di task force diagnostico-formative, spesso più agili e flessibili delle megastrutture presenti su tutto il territorio nazionale, Le chiediamo la promulgazione del sapere dalle Alte scuole a tutte le scuole. Per non perdere più il capitale umano, l'unica ricchezza e salvezza della nazione, della sanità e a quanto pare, anche delle donne.


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