Dal governo

Piano nazionale cronicità, per il Mmg un ruolo da regista “specializzato”

di B.Gob.

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In qualche modo, devono acquisire e far valere sul campo la “specializzazione in cronicità”. Ai medici di medicina generale, protagonisti insieme al paziente del processo di cura disegnato dal Piano nazionale del ministero, è chiesto un vero e proprio salto di qualità. Che dovrà avvenire secondo le linee guida già tracciate dalla legge Balduzzi (la 189/2012) con l’obbligatorietà delle aggregazioni mono-professionali e multi-professionali, confermate dal Patto per la salute e dall’Atto d’indirizzo che sarà tradotto nella prossima Convenzione per la MG. Ma non basta: il nodo cronicità propone una scommessa ulteriore, di integrazione piena, cui sono chiamati proprio i generalisti. «Il cambiamento dei modelli assistenziali per la cronicità - si legge nel Piano - conferma la necessità di un rapporto sempre più stretto tra le cure primarie e quelle specialistiche». E via con le citazioni dei modelli altrui: «La Standing Conference for General Practice in the Northern Deanery - si legge ancora nel Piano - ha definito una nuova figura di Mmg che integra il suo ruolo di generalista con la conoscenza di un’area disciplinare, non così avanzata e profonda da eguagliare quella dello specialista (al quale questa figura non intende sostituirsi), ma tale da affrontare la problematica del paziente con maggiore competenza e offrire un ulteriore servizio di alta qualità».

In Italia non siamo all’anno zero: società scientifiche come la Simg stanno già formando, con la scuola di alta formazione, Mmg «con interessi disciplinari speciali» da integrare nell’organizzazione delle cure primarie per iniziare un percorso verso la media intensità di cura e ridurre il gap tra territorio e ospedale. Il camice bianco generalista diventa in prospettiva un’interfaccia, una «cerniera evoluta con la medicina specialistica», già presente in altri Paesi europei. Di questa novità si avvantaggerebbe tutto il nostro Servizio sanitario, anche sotto il profilo dei costi: la presenza di un Mmg “evoluto” riduce la necessità di ricorrere a consulenze esterne, abbatte le liste d’attesa, risolve diverse problematiche del paziente all’interno del setting delle cure primarie, favorisce l’appropriatezza e, in definitiva, l’efficienza e l’efficacia delle cure fornite al paziente. Tra le aree d’elezione di questo salto di qualità del Mmg indicate dal Piano del ministero, l’area psichiatrica, del controllo del dolore e delle cure palliative, l’area cardiovascolare e quella metabolica.

Allo stesso tempo, il Mmg “esperto” è il registra di un team complesso. Suoi bracci destri sono gli infermieri - di cui almeno uno deputato al “care management”, che implica il richiamo temporaneo dei pazienti, il collegamento diretto con il tutor ospedaliero e l’organizzazione di programmi educativi di gruppo - il dietista, l’assistente sociale, lo psicologo, il tecnico della riabilitazione.

Molte Regioni hanno già introdotto parzialmente i criteri del lavoro d’équipe: la sfida che il Piano lancia è proprio metterli a sistema e diffonderli in tutto il Paese. Perché «è auspicabile un potenziamento della capacità dei servizi territoriali di prendersi carico dei pazienti non soltanto aumentando il numero delle persone assistite, ma anche e soprattutto migliorando la qualità ed appropriatezza delle prestazioni erogate nei diversi regimi assistenziali e in integrazione con le prestazioni socio-assistenziali».


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