Dal governo

Nel Piano nazionale cronicità l’occasione per fare chiarezza sui ruoli e definire l’integrazione d’équipe

di Antonio Panti (presidente Ordine Medici di Firenze) Lorenzo Roti (responsabile Settore Organizzazione delle cure e percorsi della cronicità, Regione Toscana)

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24 Esclusivo per Sanità24

La bozza finale del Piano nazionale della cronicità proposta dal ministero della Salute e inviata alle Regioni è un ottimo spunto di riflessione ed un importante tentativo di rispondere sul piano organizzativo del Servizio sanitario nazionale a quello che forse è il maggior problema della medicina moderna.
Inutile spendere parole sui problemi creati dall'invecchiamento della popolazione, che rappresenta un grande successo della medicina, dei servizi sociali e del miglioramento complessivo della qualità della vita ma, nello stesso tempo, crea indubbiamente problemi immani di assistenza. Il disegno complessivo del piano è senz'altro ragionevole ed è evidente la visione complessiva che non può essere che trasversale rispetto alle problematiche delle disuguaglianze sociali e dell'appropriatezza dell'uso delle risorse disponibili per rispondere alla cronicità.
In quanto alle risposte previdenziali queste sembrano aumentare ma sono sempre poco coordinate e frammentarie. L'integrazione dei settori sociale e sanitario in molti casi appare debole nell'unificazione operativa dei piani individuali. L'accesso al sostegno e all'assistenza alla persona è più complesso rispetto all'aiuto terapeutico. In questo senso, a fronte di una indiscutibile difficoltà di finanziamento del sistema di welfare, dovremo recuperare il valore dei tanti servizi presenti attraverso una funzione di agenzia della continuità di cura.
Il Piano analizza gli aspetti sanitari, a partire dal modello di Wagner (Chronic Care Model) ormai ben conosciuto da tutti. A nostro avviso, dopo cinque anni dall'avvio del programma regionale della sanità d'iniziativa, l'esperienza toscana conferma la validità del modello, dimostrata nei nostri dati da una significativa migliore adesione alle linee guida e da una riduzione di mortalità del 15% per lo scompenso cardiaco e dell'11% per i diabetici. Accanto a questo, sosteniamo l'opportunità di una maggior enfasi alla base e alla vetta della piramide dei bisogni. Alla base perché la sanità d'iniziativa potrebbe consentire un invecchiamento migliore e un minor numero di riacutizzazioni nella cronicità. Agire sui rischi ambientali e su quelli primari è fondamentale come ogni tentativo di contenere e monitorare la fragilità. Alla vetta della piramide occorre intervenire perché in questa fase si pongono non solo problemi sanitari e sociali, ma anche etici. Gli inglesi chiamano questo periodo “End Stage“ ; il compito dei medici dovrebbe essere di preparare il cronico e la sua famiglia ad affrontare l'ultimo periodo della vita ricorrendo a tutte quelle misure terapeutiche ed assistenziali che consentano un percorso di fine vita condiviso e orientato alla qualità dei vissuti anche nelle fasi terminali. Quando il paziente diventa complesso ha necessità di essere formato assieme alla famiglia ad un approccio proattivo e preventivo di autogestione, che può evitare inutili nuove ospedalizzazioni o accessi inappropriati al sistema.
Un aspetto positivo del Piano è l'ampio spazio dedicato ai problemi dell'età evolutiva. La medicina moderna porta a cronicizzare molte situazioni patologiche consentendo spesso una vita normale. Per questo riorganizzare i servizi pediatrici è particolarmente importante.

Terminiamo con alcuni suggerimenti.
Il primo riguarda la definizione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale unico come base generale dell'assistenza, sulla quale potranno essere previsti interventi specifici per i diversi quadri clinici e individuati gli strumenti valutativi più specialistici. Oggi il vero problema è la polipatologia del cronico, per cui è fuorviante individuare percorsi assistenziali monospecialistici ed eccessivamente diversificati, con il rischio di interventi plurimi, in particolare farmacologici, spesso costosi e pericolosi.
L'altra questione riguarda la definizione dei ruoli degli attori del sistema. È evidente la necessità dell'integrazione fra molteplici professionalità cliniche ed assistenziali: tra il medico di medicina generale –o meglio l'Aggregazione funzionale territoriale a cui appartiene- e l'infermiere come nucleo minimo di una equipe di cure primarie, come tra il medico di medicina generale e lo specialista nel caso di percorsi più complessi. L'integrazione dei percorsi degli aspetti preventivi deve diventare una presenza prioritaria e trainante (attività fisica, fumo, dieta, vaccinazioni). Il Piano deve rappresentare preziosa opportunità per indicare le regole generali di funzionamento di una équipe multi professionale e multidisciplinare a superamento della frammentazione delle competenze.
Quest'ultima indicazione è assolutamente rilevante per evitare che il Piano provochi conflittualità tra professionisti. Ci auguriamo che questo Piano, debitamente implementato con le osservazione delle Regioni, raggiunga lo scopo che si prefigge, fondamentale per la tenuta sanitaria e sociale dell'Ssn, perché questo continui ad essere adeguato ai bisogni emergenti e capace di mantenere i risultati fino ad oggi conseguiti.


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