Dal governo

Tecnoassistenza al servizio dei più fragili e dell’appropriatezza

di Roberto Bernabei (presidente di Italia Longeva), Federico Spandonaro (professore di Economia Sanitaria, Università di Roma Tor Vergata; presidente C.R.E.A.), Esmeralda Ploner (Università di Roma Tor Vergata)

La tecnoassistenza rappresenta un nuovo metodo di erogazione efficiente di prestazioni sanitarie, in alcuni casi imprescindibili. Come tale dovrebbe essere inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), garantiti dal Servizio sanitario nazionale gratuitamente, oppure a fronte di una ridotta quota di compartecipazione a carico dei cittadini. D'altro canto se la tecnoassistenza divenisse un diritto del cittadino, in base a un evidente corollario giuridico si trasformerebbe anche in un obbligo per le strutture del Servizio sanitario nazionale. Ma ciò comporterebbe per queste ultime un onere aggiuntivo solo apparente. È ormai assodato, infatti, che la tecnoassistenza è in grado di garantire prestazioni efficaci per i cittadini e al contempo un efficientamento della struttura organizzativa, e quindi una riduzione dei costi a beneficio dei diversi snodi del SSN. Ciò nonostante, è evidente che l'implementazione di una struttura deputata all'erogazione di servizi di tecnoassistenza richieda investimenti iniziali e comunque, in generale, un meccanismo di finanziamento certo e ben definito. Il termine tecnoassistenza, infatti, definisce un vero e proprio “setting assistenziale”: non solo un singolo tipo di servizio. Per questo non basta prevedere che una certa prestazione erogata in tecnoassistenza debba essere rimborsata al pari della stessa prestazione garantita in modo per così dire “tradizionale”. Piuttosto, sarebbe necessario riconoscere che così come alcuni Livelli Essenziali di Assistenza si riferiscono a prestazioni offerte in ospedale, altri a prestazioni erogate in ambito di residenzialità assistita e altri ancora al domicilio del paziente, allo stesso modo esistono oggi una serie di servizi sanitari essenziali che non possono che essere offerti – e nel modo più efficiente ed efficace – attraverso il setting della tecnoassistenza.
Ad oggi, infatti, la tecnoassistenza non ha mai fatto registrare outcome clinici meno soddisfacenti di altri approcci terapeutici. Al contrario, nella maggior parte dei casi si è verificata una maggiore soddisfazione dei pazienti rispetto ad altre modalità di presa in carico, e naturalmente con costi inferiori. Uno dei principali vantaggi della tecnoassistenza è proprio la sua capacità, nel medio periodo, di generare risparmi e di liberare risorse destinabili ad altre finalità caratteristiche del Servizio sanitario. Dal punto di vista finanziario, tuttavia, il problema da risolvere non è solo quello degli investimenti iniziali, senza dubbio indispensabili per organizzare e varare i servizi di tecnoassistenza. Fino ad oggi la maggior parte degli esperimenti di tecnoassistenza si è caratterizzata per una programmazione economico-finanziaria di corto respiro: sviluppati grazie a una prima disponibilità di risorse, questi “laboratori di tecnoassistenza” sono naufragati non appena si sono esauriti i fondi iniziali. Questo problema dovrebbe essere facilmente superabile attraverso un meccanismo di finanziamento continuativo, che vista la peculiarità del settore – fondato essenzialmente sulle tecnologie d'avanguardia – dovrebbe poter contare anche su interessanti partnership pubblico-privato. Gli stessi produttori e gestori di tecnologia, per rientrare degli investimenti, potrebbero stipulare contratti di servizio con il sistema sanitario, ad esempio per la fornitura di tecnologie a noleggio.
A fronte di uno scenario così complesso, durante l'appuntamento “Long Term Care One”, organizzato da Italia Longeva al Ministero della Salute , si è proceduto a un'analisi delle aree strategiche e delle opportunità offerte dalla tecnoassistenza, ma anche a una disamina dei possibili meccanismi di finanziamento di questi servizi. Una delle conclusioni alle quali si è giunti è che sul fronte della rimborsabilità sarà necessario prevedere una sorta di “quota capitaria”, simile a quella erogata per il finanziamento della Medicina Generale. Un finanziamento “fee for service” – cioè pensato nell'ottica di un pagamento puntuale a fronte di una singola prestazione – ha già manifestato tutti i suoi limiti. Ora è necessario garantire i finanziamenti iniziali, e poi riuscire a sostenere strutturalmente anche l'assistenza e il monitoraggio di tutti i pazienti inseriti in un percorso organico di tecnoassistenza. Solo così si eviteranno ricadute, riacutizzazioni e ricoveri successivi. Il paziente sarà effettivamente assistito a domicilio, e così la tecnoassistenza manifesterà tutti i suoi vantaggi, sia di carattere clinico sia di ordine economico. La chiave di volta di questo approccio, infatti, è legata alla sua capacità di conservare nel tempo la qualità di vita del singolo cittadino-paziente: per questo l'affidabilità e la continuità dei servizi – che riposano anche sulla certezza dei finanziamenti – sono essenziali per riuscire a trarre dalla tecnoassistenza tutti i vantaggi terapeutici ed economici che questo approccio è in grado di offrire.
I due giorni di “Long Term Care One”, infine, sono serviti per mettere a fuoco un'altra evidenza di grande importanza per il futuro della tecnoassistenza, e cioè che qualsiasi investimento finanziario sarà pressoché inutile se non sarà sostenuto da un corrispondente impegno culturale ed educazionale. I medici che si sono formati trenta anni fa non sono pronti ad affrontare i cambiamenti e le evoluzioni importati dalla tecnoassistenza, e il primo ambito nel quale hanno bisogno di nuova formazione e di aggiornamento non è quello tecnico-informatico, ma quello comunicazionale e relazionale. È il rapporto medico-paziente, infatti, il terreno più coinvolto dalla rivoluzione della tecnoassistenza, e il destino di questo approccio d'avanguardia è nelle mani del singolo curante. Fra qualche anno avremo tanti pazienti entusiasti del proprio percorso di tecnoassistenza, che si sentiranno seguiti e monitorati 24 ore al giorno; realisticamente, avremo anche qualche altro paziente insoddisfatto, che si lamenterà della rarefazione del proprio rapporto con il medico e della discontinuità del servizio ricevuto. La distanza fra questi due gruppi di pazienti consisterà semplicemente nel gap culturale e formativo che dividerà i propri medici curanti.s


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