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Secondo Programma di azione biennale sulla disabilità: le proposte dell’Anmic e le questioni irrisolte

di Nazaro Pagano (presidente dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi civili - Anmic)

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24 Esclusivo per Sanità24

L'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ha chiuso i suoi lavori approvando la proposta del secondo Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità. Otto le linee di intervento tracciate nel documento finale approvato, costruito in continuità con il primo programma di azione biennale, e di cui si discuterà nella Conferenza programmatica fissata a Firenze per i prossimi 16 e 17 settembre.
L'Associazione nazionale mutilati ed invalidi civili (Anmic), presente in tutti i tavoli di discussione, ha espresso una posizione critica sia in ordine all'organizzazione e conduzione dei suoi lavori, sia in ordine alla corrispondenza del contenuto della proposta del secondo programma di azione biennale alle posizioni effettivamente rappresentate all'interno dei Gruppi di lavoro.
In particolare, l'Associazione ha evidenziato l'omissione di ogni riferimento al proprio contributo offerto in materia di accertamento della invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità, fondato sulla cinquantennale presenza dei propri rappresentanti nelle Commissioni di accertamento sanitario.
Allo stesso modo il programma predisposto non contiene alcun riferimento rispetto alle problematiche sollevate in ordine al collocamento mirato, alla flessibilità del lavoro, alla natura e funzione dell'istituto dell'accomodamento ragionevole, alla non discriminazione nei luoghi di lavoro, nonchè elusivo rispetto alle questioni aperte dalla recente normativa sul “dopo di noi”.
A giudizio della Anmic il sistema della valutazione dei presupposti medico- legali dovrebbe essere fondato sui principi della semplificazione del procedimento, dell'unicità dell'accertamento, della collegialità dell'esame sanitario, della unicità del soggetto che accerta, liquida ed eroga le prestazioni, della rapidità delle procedure, dell'apporto delle associazioni di categoria alle varie fasi procedurali, superando così l'attuale sistema fondato innanzitutto sulla “cultura del sospetto”, sulla pluralità delle valutazione e dei soggetti preposti all'accertamento, sulle revisioni continue ed indiscriminate, che ledono anzitutto la dignità delle persone disabili.
La revisione del sistema tabellare, la disciplina dell'ICF e la individuazione dei settori di applicazione, la corretta definizione del concetto di “disabilità” e la rideterminazione dei criteri di individuazione dei soggetti beneficiari delle prestazioni socio- assistenziali, costituiscono i corollari di un sistema che deve essere riformato secondo criteri di ragionevolezza e non seguendo astratti e velleitari ideologismi.

Allo stesso modo il sistema introdotto dal Jobs act e dai decreti attuativi, improntato sulla flessibilità del mercato del lavoro, risulta meno garantista per il lavoratore disabile in tutte le fasi di costituzione e sviluppo del rapporto di lavoro. L'esclusività del criterio della chiamata “nominativa”, la temporaneità ed insufficienza dei sistemi di incentivi per le aziende che assumono disabili, la permanente presenza di “scoperture” soprattutto nelle Pubbliche amministrazioni, l'assenza di una tutela reale e non meramente sanzionatorio-pecuniaria per le aziende che non assumono disabili, l'ampliamento della facoltà di mutamento di mansioni non più secondo il criterio dell'”equivalenza”, la mancata disciplina del rivoluzionario istituto dell'accomodamento ragionevole”, l'applicazione anche ai disabili della disciplina delle tutele crescenti e la “libertà” di licenziamento non tutelato dalla tutela reintegratoria in caso di illegittimità, costituiscono aspetti di un sistema che ha modificato il mercato del lavoro penalizzando i soggetti più deboli che raramente riescono a trovare un posto di lavoro. E in caso di licenziamento, anche illegittimo, ne sono definitivamente esclusi.

Finalmente il Parlamento italiano - sostiene l'ANMIC - ha almeno approvato una legge sul “dopo di noi”, ma i suggerimenti migliorativi dati dalle associazioni dei disabili non hanno purtroppo finora trovato riscontro in sede legislativa, e tantomeno nel documento programmatico dell'Osservatorio. La necessità di affrontare complessivamente la materia della disabilità dei gravi e gravissimi, la fine delle politiche dei “Fondi” e la previsione di un sistema strutturato di prestazioni e servizi essenziali (valido su tutto il territorio nazionale), l'affidamento ai soli trust e fondi con vincolo di destinazione del sistema di tutele dei disabili gravi senza sostegno familiare, costituiscono aspetti fondamentali su cui è però mancata una riflessione concreta.
La tutela e il sostegno delle famiglie con disabili gravi come luogo privilegiato per la loro assistenza e tutela, anche quando vengono meno i genitori, una rivisitazione dell'istituto dell'amministratore di sostegno quale strumento più adeguato per forme di tutela dei diritti patrimoniali e personali, costituiscono invece questioni non affrontate dal legislatore.
Allo stesso modo la quasi totalità delle famiglie con disabili gravi e gravissimi non hanno patrimoni da destinare per il dopo di noi: quasi sempre si è in presenza della semplice proprietà di una casa di abitazione, di una piccola rendita o di modesti depositi, rispetto ai quali la costituzione e gestione di un trust appaiono oltremodo sproporzionati e insostenibili.
Su queste problematiche l'ANMIC ha richiamato l'attenzione dell'Osservatorio nazionale e intende sviluppare un'azione politica e un confronto col Parlamento e Governo, senza pregiudizi ideologici o velleitarie posizioni, ma dando maggiore voce al mondo dei disabili in cui è presente da sessant'anni.


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