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L’Italia non è un paese per dottori di ricerca: -44% in dieci anni

di Marzio Bartoloni

Un declino inesorabile costellato di tante occasioni mancate. Questo il destino dei dottorati in Italia. Che in dieci anni si sono praticamente dimezzati (-44%). E per chi comunque ha scelto questa strada della ricerca – a parole osannata da tutti ma nei fatti snobbata – il futuro è un deserto, visto che oggi solo il 6,5% degli attuali assegnisti di ricerca trova un lavoro da ricercatore strutturato. Gli altri alla fine sono espulsi. La nuova impietosa fotografia sul mondo dei giovani ricercatori – al di là della solita retorica sulla fuga dei cervelli – arriva dalla sesta indagine dell'Adi , l'associazione dei dottorati e dottorandi italiani, presentata ieri alla Camera a Roma.

Il declino dei dottorati
Il primo dato che salta subito all'occhio è il crollo dei posti di dottorato in Italia: se nel 2006 erano 15.733, dieci anni dopo nel 2016 sono diventati 8.737 (-44,5%). Un drastico taglio dovuto alla riduzione continua delle risorse e ai vincoli di accreditamento più stringenti. Secondo l'indagine dell'Adi il sistema dell'offerta dottorale in Italia ha subito negli anni un processo di «compressione selettiva»: solo 10 atenei (8 al Nord) garantiscono il 42% dell'offerta di posti, mentre la percentuale di posti banditi dagli atenei del Sud passa dal 27,7% al 21,7% sul totale. Negli ultimi anni si è assistito poi alla frammentazione delle figure dottorali: prima c'erano solo quelli con borsa e senza, ora ci sono dottorati industriali, apprendistati di alta formazione, borsisti da estero, ecc. Una moltiplicazione di figure che per l'Adi «non arricchisce l'offerta ma serve per “parare il colpo” rispetto ai tagli». L'indagine mette sotto la lente anche le condizioni di lavoro dei dottorati attraverso i risultati di questionari a cui hanno risposto in oltre 5mila. Emerge ad esempio la mancanza di informazione sui fondi cui i dottorandi avrebbero diritto (non sono al corrente del 10% dei fondi o non sanno come vengono erogati il 56,4% dei rispondenti all'Indagine). Emerge anche la presenza di casi illegittimi di incompatibilità totale dottorato-lavoro, mentre una percentuale contenuta ma comunque preoccupante di rispondenti dichiara che nel suo corso non sono previste attività formative obbligatorie (11,8%). Infine l'aspettativa di svolgere un periodo di ricerca all'estero è molto diffusa tra i rispondenti del I e II anno ma non trova riscontro nel tasso effettivo di mobilità registrato tra i colleghi al III anno.
Poco futuro nella ricerca
Come detto si conferma un elevato tasso di espulsione per il post doc: nei prossimi anni solo il 6,5% di chi attualmente è assegnista di ricerca riuscirà ad accedere a un ruolo strutturato. Per quanto riguarda gli altri scalini della carriera, almeno per chi ci arriva, continua la forte concentrazione a livello territoriale delle posizioni di assegnisti, ricercatori di tipo a e di tipo b (gli unici che possono ambire a un posto da associati), con disuguaglianze crescenti fra Centro-Nord e Sud: ad esempio, il 50,3% dei ricercatori di tipo a è concentrato in 5 regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio. Per Manuela Ghizzoni (Pd) intervenuta alla presentazione dell'indagine Il dato del 93,5% di assegnisti di ricerca che, nei prossimi anni, usciranno dal mondo accademico «è, francamente, allarmante e non può non preoccupare. Si tratta di capitale umano che abbiamo formato, sul quale il Paese ha investito ma che non troverà il naturale sbocco lavorativo nel mondo accademico. E questo nonostante la Legge di stabilità dell'anno passato abbia sostenuto e permesso l'assunzione di mille ricercatori in ambito universitario e negli enti di ricerca». «Una misura questa – continua Ghizzoni - che puntiamo a stabilizzare nella prossima Legge di bilancio, ma in grado di coprire il gap di personale in uscita dall'accademia se accompagnata ad altre norme sullo sblocco del turn-over. Solo così si potranno garantire il necessario ricambio generazionale e l'innovazione di competenze negli atenei adeguati alle attese del nostro Paese. La legge di bilancio sarà anche il banco di prova per l'estensione della Dis-col agli assegnisti di ricerca a cui non dovesse venire rinnovato il contratto».


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