Dal governo

Tina Anselmi: «Le Riforme vincono solo con la concertazione»

di Roberto Turno (da un’intervista del dicembre 2003, nei 25 anni del Ssn)

Correva l’anno 2003, era il mese di dicembre: il Ssn brindava ai suoi primi 25 anni, almeno a quelli della legge 833. Il Sole 24 Ore Sanità dedico uno speciale a quell'anniversario e tra le varie voci non poteva mancare quella di Tina Anselmi, che era ministro della Sanità all'epoca del varo delle legge. A Tina Anselmi, scomparsa la scorsa notte, non possiamo non dedicare il nostro ricordo. L'intervista di 13 anni fa.

Il ricordo “finale” che abbiamo di lei, è quello di tenace presidente della “Commissione P2”. Di pasionaria e testarda indagatrice di quella che è stata una delle pagine più buie e ingloriose dell'Italia repubblicana. Ma Tina Anselmi vanta nel suo palmares politico anche un ruolo di primo piano in quella che invece è stata – comunque la si guardi e la si giudichi – una delle pagine più vivide del dopoguerra: l'istituzione del Servizio sanitario nazionale che dava dignità al diritto costituzionale della tutela della salute dei cittadini.
Per poco meno di un anno – 345 giorni - in due successivi Governi (il quarto e il quinto gabinetto di Giulio Andreotti ). Tina Anselmi è stata ministro della Sanità. Ministro proprio quando la 833 andava in porto nella settima Legislativa repubblicana. In quel 1978 che sicuramente segnò uno spartiacque della vita politica e sociale del Paese. E che per tanti versi ci tuffò in un futuro che è la trama dell'oggi.

Presidente Anselmi, la legge 833 di istituzione del Servizio sanitario nazionale, che lei ha firmato come ministro in carica della Sanità, festeggia i suoi primi 25 anni di vita. Che ricordi ha di quel periodo?
Ho il ricordo di una battaglia che da tempo veniva combattuta dalle forze politiche e sociali e dai sindacati. E di un dibattito molto importante e molto significativo che si svolse nel Paese. Un dibattito che dava ragione del perché in tanti erano scesi in campo per realizzare quello che resta uno dei maggiori obiettivi di un Paese civile: tutelare sempre i diritti della persone. Là dove ci sono situazioni che questa tutela possono rendere difficile.

Una battagli dura.
Comunque una bella battaglia. E conclusa positivamente.

Solo bei ricordi?
Non è questo il punto. Devo dire che in quegli anni, segnati da posizioni molto diversificate, sicuramente c'era lo scontro. E tuttavia esisteva un'adesione di fondo a quel principio sul quale è stata costruita la Riforma del Sistema sanitario italiano: l'adesione ai valori su cui costruire la tutela e il diritto del cittadino ad avere una garanzia da parte dello Stato per quanto riguarda la sua integrità. Per costruire un sistema che assumesse, come suo valore fondante, la tutela della persona.

Il voto del Parlamento fu compatto. Ma di sicuro non mancarono gli oppositori.
Certo. Stavano in maniera manifesta nel partito liberale e nel mondo della destra italiana. Ma la loro opposizione fu corretta, non precostituita, e permise al Parlamento di arrivare all'approvazione della legge senza quegli scontri e quelle spaccature che da qualche parte si temevano.

I medici, per la verità, non brindarono. Non tutti, almeno.
Ricordo che decisi di andare al loro convegno nazionale, nonostante i miei collaboratori mi dicessero “ministro, non andare. Lì c'è l'opposizione e ti rendono la vita difficile”.

E lei che fece?
Ci andai naturalmente. E devo dire che ci fu un dialogo e un confronto molto corretto. Fu importante andare. Credo che anche questa apertura al dialogo abbia permesso agli operatori sanitari di far camminare il nuovo sistema. Non ci fu un'opposizione così forte come si temeva.

Venticinque anni dopo, si può ancora dire che la 833 fu davvero una grande conquista civile e sociale per il Paese?
Così la considero anch'io. Anche se mi spiace che le correzioni che si potevano e si dovevano fare al testo della Riforma siano calate in un clima in cui già si pensava di cancellare il Servizio sanitario nazionale, io sono convinta che le riforme bisogna farle quando è necessario farle. E per farle c'è bisogno dell'adesione degli operatori. Se gli operatori sono contro, le grandi riforme che scavano nella vita sociale del Pese non camminano. Non potranno mai camminare.

Quel che dice vale anche per “l’oggi”?
Vale sempre. Perché mettere in campo una Riforma vanno fatte preliminarmente due verifiche. Anzitutto quanto la Riforma va ad incidere sul tessuto sociale, economico e culturale. Poi, quanto tutte le forze del Paese siano disponibili ad assumersi le proprie responsabilità. Solo operando tutti insieme si può conseguire un risultato.

E tutto questo è calzato a pennello con la 833?
Direi assolutamente di sì. Sicuramente all'interno dei vari gruppi c'è stato chi cercava di frenare. Ma io continuo a pensare che nel Paese era ormai maturata la consapevolezza che la Riforma andava fatta. Che tutto quanto ci aveva lasciato in eredità il vecchio sistema, occorreva rimetterla posto. Sulla base, ripeto, del principio di fondo del diritto del cittadino a essere curato. Che non significa “concedere” un regalo, ma mettere il cittadino in condizione di esercitare un suo diritto.

Si faticò parecchio a far marciare la Riforma del 1978.
Certamente. Anche perché bisognava mettere in piedi tutti gli strumenti per farla camminare, ed erano tanti. Ma va detto che avemmo anche qualche soddisfazione a livello internazionale. A Ginevra c'era una grande adesione al nostro operato, che raramente sì è ritrovata su altre materie. La nostra Riforma era assunta a modello per gli altri Paesi, europei e non. Siamo stati gratificati da questi riconoscimenti.

La questione dei costi, anche allora, faceva tremare le gambe un poco a tutti: oltreché della realizzazione del principio costituzionale del diritto alla salute, si cominciava ad avere la consapevolezza che la tenuta finanziaria del sistema che si andava a costruire, era decisiva. Proprio per garantire la tutela dei diritti.
C'era molta cautela, molta prudenza. Sono stati fatti moltissimi incontri con gli enti locali, perché i Comuni avevano un ruolo decisivo in questo processo, sapevamo benissimo che vi erano difficoltà locali, culturali ed economiche. Ma avevamo precisa la consapevolezza che se si tornava indietro, il cittadino sarebbe rimasto senza quella tutela e senza la realizzazione dei suoi diritti. Quella era, e deve restare, la stella polare.

E dopo tante speranze, oggi cosa possiamo dire che non è stato realizzato e che lascia insoddisfatti?
Non è stato realizzato e non si sta realizzando il fondamento della Riforma: non c'è una partecipazione e non c'è un sistema di controlli che permetta al cittadino, come singolo o come raggruppamento sociale, di vigilare. Non c'è una spinta in questa direzione. Dobbiamo stare attenti a non ritornare a una politica privatistica, ma a volere con intelligenza e con prudenza recuperare le motivazione e gli obiettivi che c'eravamo posti come politica sanitaria del Paese.

Oggi, presidente Anselmi, va di moda il federalismo. Che ne pensa lei del federalismo?
Il federalismo va preso e gestito con grade attenzione. Stiamo parlando di qualcosa di nuovo che non c'è e che dovrà sorgere con tutte le attenzioni possibili, avendo piena coscienza di quello che significa, oggi, questo passaggio a tutela della vita dei cittadini.


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