Dal governo

La svolta informatica che non può attendere

di Silvio Garattini (Irccs Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri)

Lo sviluppo dell’informatica non poteva non avere un importante impatto anche in campo medico per semplificare, interpretare e in definitiva migliorare l’utilizzo dei dati che derivano dalla pratica medica. I social media sono stati invasi da informazioni sulla salute molto spesso per ragioni economiche e con conflitto di interessi.

Si calcola, infatti, che circa l’80% delle organizzazioni sanitarie disseminino informazioni sulla salute attraverso internet, ma solo in pochi Stati, secondo le indagini dell’Organizzazione mondiale della Sanità, è in vigore una regolamentazione per l’impiego nella professione medica. Più utilizzato è il “fascicolo sanitario elettronico” che registra per ogni cittadino tutti gli interventi effettuati in campo sanitario, anche se non esiste ancora una standardizzazione universale che permetta quell’omogeneità necessaria per utilizzare i dati per analisi e valutazioni. Un altro aspetto della medicina elettronica è rappresentato dalla telemedicina che permette la trasmissione di dati sulla salute a distanza presso centri specializzati in grado di dare risposte diagnostiche e terapeutiche. In grande sviluppo è l’impiego dei “mobile health”, app o smartwatch che raccolgono dati sulla salute. Si calcola che dei quasi 2 milioni di app presenti sulle piattaforme Apple e Android, quasi 100mila riguardano l’ambito medico sanitario e più in generale quello del benessere con tipologie molto varie. Delle app che danno informazioni su localizzazioni di ospedali e strutture sanitarie per varie patologie e relativi servizi alle app che realizzano un monitoraggio di vari parametri personali. È impossibile fare un censimento, ma fra le funzioni più utilizzate delle app si può ricordare il numero di passi fatti durante la giornata, la distanza percorsa, il numero di gradini saliti o scesi, i movimenti durante il sonno, la qualità del sonno e i battiti cardiaci, nonché la misura della pressione, i valori glicemici, le calorie ingerite, la dose di insulina assunta nella giornata e così via.

La diffusione delle app è molto varia a seconda dei Paesi. Ad esempio, per quanto riguarda l’impiego di dispositivi elettronici indossabili, smartwatch o braccialetti, gli Stati Uniti sono leader con circa il 12,2%, mentre l’Italia è leader in Europa con il 10,3% rispetto a Germania e Francia rispettivamente con il 5,4 e il 4,6 per cento. Di fronte allo sviluppo in continuo aumento delle app è logico porsi vari tipi di problemi. Ad esempio: qual è l’attendibilità delle informazioni che derivano dall’impiego delle app? Il panorama è molto variegato perché molto spesso le informazioni sono molto scarse. In molti casi i controlli effettuati sono stati deludenti: due rilevatori di battito cardiaco durante un esercizio fisico moderato sono stati confrontati con i battiti rilevati dall’elettrocardiogramma. La differenza è stata di ben 15,5 e 22,6 battiti al minuto, uno scostamento eccessivo che può essere pericoloso per chi si fida di una app per programmare la durante e l’intensità della propria attività fisica.

Analogamente in uno studio mirato a stabilire se una app poteva essere d’aiuto a diminuire il peso in soggetti obesi, i dati ottenuti non sono stati migliori rispetto a un gruppo di controllo. Così pure su 14 app riguardanti la gestione della depressione e dell’ansia. Solo quattro contenevano dati che ne attestavano l’efficacia e solo due utilizzavano indicatori validati.

Una seconda domanda può essere: qual è l’utilità dell’impiego delle app? Non basta, infatti, che i dati siano attendibili, ma occorre anche essere sicuri che l’utilizzo dei dati da parte dei pazienti o di centri abilitati, si traduca in un vantaggio documentabile per i pazienti in termini di prevenzione da malattie o migliore qualità di vita. Qui i risultati sono ancora sporadici a dir poco. Mancano quasi del tutto studi clinici con gruppi di controllo con randomizzazione dei partecipanti, introduzione del doppio cieco e con calcolo della numerosità per ottenere significatività statistica. Senza queste informazioni le app rischiano di rappresentare solo uno dei componenti del vasto mercato della salute che giova a chi vende, ma non a chi acquista.

Una terza domanda può essere: come si garantisce la privacy dei dati? Anche qui le informazioni sono poco soddisfacenti. Su 79 app valutate, il 66% non utilizza sistemi di codifica per fare in modo che i dati vengano letti solo da chi è autorizzato, mentre il 22% era privo di qualsiasi protocollo di privacy. È evidente che molto rimane da fare per rendere le app utili.

Occorre anzitutto realizzare in Italia un repository con il catalogo di tutte le app disponibili divise per tipo di prestazione. È necessario poter identificare nel catalogo le app che hanno il marchio CE, la certificazione Iso 9001, i dati validati e soprattutto il livello di utilità per chi le utilizza. Ciò richiede studi clinici controllati di natura comparativa che affrontino il problema dell’efficacia. Per questo sono necessarie risorse economiche. Se vi fossero procedure per approvare una app, i produttori dovrebbero finanziare la ricerca indispensabile per oggettivarne l’utilità. Occorre agire rapidamente senza attendere che il mercato diventi così vasto da non poterlo più controllare.

Anche di questo discute a S@lute, il Forum dell’Innovazione per la Salute, che in programma da oggi al 12 novembre a Milano, sperando che i politici siano presenti e si mettano all’opera per fare in modo che la medicina elettronica divenga un bene pubblico.


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