Dal governo

Rapporto Oasi 2016/ Ssn a costi light ma di alta qualità

di Lucilla Vazza

L a sanità italiana crea ricchezza, produce valore e muove reddito. Vista insomma dalla parte dei numeri, altro che zavorra, la sanità è un cavallo vincente che corre. E corre parecchio, fino a collocarsi al settimo posto dell’economia nazionale per prodotto lordo. E costa anche meno che nel resto dell’Europa dei big: 3.239 dollari contro i 5.182 della Germania.

Perché come indica il Rapporto Oasi 2016, il settore ha mobilitato complessivamente 149 miliardi di risorse di spesa corrente, di cui 115 miliardi finanziati dal Ssn, mentre 34 miliardi sono i consumi sanitari privati. Quelli cioè sborsati direttamente dalle famiglie.

Un dato che si sposa perfettamente con il valore del comparto socio-assistenziale che vale altri 40-50 miliardi. E se si aggiunge la produzione di farmaci (24 miliardi), il mondo della sanità rappresenta il sesto settore economico italiano, poco al di sotto del manifatturiero che vale 152 miliardi. È superiore a riconosciuti settori portanti dell’economia nazionale come le attività finanziarie e assicurative (142 miliardi), l’alimentare (129 miliardi), la ricettività e la ristorazione (102 miliardi) o il tessile e la moda (81 miliardi). Per il Cergas, il 70% delle risorse del Fondo sanitario nazionale viene trasferito a economie terze come corrispettivo per beni o servizi - imprese farmaceutiche e di medical device, facility management - o per l’erogazione di assistenza per conto del Ssn (strutture sanitarie private accreditate, farmacie e professionisti convenzionati). Dunque solo il 30% della spesa Ssn è destinata ai dipendenti pubblici, il 36% se includiamo anche la medicina convenzionata.

E dunque, richiamando i modelli input-output di interdipendenza settoriale (Leontieff, 1986), il Cergas evidenzia che la spesa sanitaria pubblica si rivela, quasi paradossalmente, un formidabile strumento di politica industriale che consente, di impattare direttamente su settori ad alto livello di tecnologia e sapere specialistico. Perché scegliere quali beni e servizi acquisire determina uno sviluppo correlato che va dalle decisioni di salute allo sviluppo delle altre “anime” economiche del Ssn. Il farmaceutico, i medical device e le grandi infrastrutture si alimentano e riflettono buona parte delle dinamiche presenti nel settore e nel Ssn. La sanità stessa è un settore “labor intensive”, ad alta componente tecnologica e con un corpo professionale tra i più qualificati nell’economia del Paese, difficilmente delocalizzabile.

Ciò che appare necessario, chiarisce il Cergas, è un cambiamento di paradigma da parte del policymaker. I tassi di crescita della spesa Ssn, e soprattutto quello della spesa privata, appaiono sempre più legati a quello del Pil, della ricchezza nazionale. La disponibilità di risorse pubbliche e private determina il livello di spesa sanitaria: serve innescare circoli virtuosi per l’intera economia visto che la spesa genera innovazione scientifica, medico-clinica, tecnologica e gestionale.

Il settore sanitario non è, o non è più, un comparto anticiclico e immune ai periodi di crisi economica. Al contrario, la sanità necessita di adeguato finanziamento e di politiche settoriali consapevoli e mirate, in modo da esprimere le sue potenzialità di volano economico, sociale e istituzionale.

Oltre alle correlazioni intersettoriali, il Cergas sottolinea la crescente interdipendenza tra sanità privata e sanità pubblica. un legame fisiologico, perché la spesa pubblica e la spesa privata delle famiglie rispondono alla stessa domanda di salute della popolazione. Ma le politiche pubbliche di regolazione della farmaceutica, della specialistica e della libera professione influenzano indirettamente e direttamente il livello di spesa privata, che per il 14% è generata dal pubblico. In generale, in una lunga e profonda fase di contenimento della spesa pubblica, in cui i livelli di copertura del Ssn diminuiscono con il calare dell’intensità clinico-assistenziale, il mix e i luoghi dei consumi sanitari privati appaiono sempre più complementari e necessari per rispondere ai bisogni di salute. A tal proposito, appare evidente la rilevanza delle visite ambulatoriali private, a fronte della crescente tensione nelle liste di attese del Ssn, oltre che l’ampia quota di spesa privata per medical device, per il comparto socio-sanitario e per l’odontoiatria. Molti pazienti, nei loro percorsi di cura, attraversano di frequente i confini tra sanità privata e sanità in regime Ssn.

Le interdipendenze sono legate anche alla molteplicità dei soggetti pubblici e privati che compongono l’offerta, con i privati che assumono un ruolo molto rilevante. Gli erogatori privati offrono servizi per conto del Ssn per un valore pari a 24 miliardi, corrispondente al 21% dell’intera spesa sanitaria pubblica. Sommando anche la quota di servizi erogati in out-of-pocket e attraverso fondi e assicurazioni (18 miliardi), gli erogatori privati offrono prestazioni per 42 miliardi, quasi un terzo della spesa sanitaria.

Un esempio delle interdipendenze sul lato dell’offerta è quello della mobilità ospedaliera interregionale in regime Ssn. la perdita di quote di mercato delle aziende pubbliche è stata interamente recuperata dalle strutture private accreditate. La crescita della platea delle persone dotate di un’assicurazione sanitaria complementare (arrivati a 11 milioni di persone), seppur al momento con coperture medie molto modeste, costituisce un ulteriore vettore di interdipendenza tra famiglie, assicurazioni, erogatori pubblici e privati. per il Cergas insomma, devono cadere gli steccati. Queste dinamiche impongono di considerare il settore sanitario come un comparto unico, con una componente pubblica e una privata.

Una spesa sanitaria sobria. Il livello di spesa pubblica per il Ssn è sobrio nel panorama europeo e internazionale. E questo pur considerando la spesa sanitaria complessiva, includendo quindi quella privata delle famiglie. Nel 2014, la spesa sanitaria totale espressa a parità di potere d’acquisto era infatti pari a 3.239 dollari in Italia, a 3.377 nel Regno Unito, a 4.508 in Francia, a 5.182 in Germania, per arrivare ai 9.403 dollari degli Stati Uniti (Oms, 2016). Tra i grandi Paesi europei, solo la Spagna evidenzia una spesa sanitaria totale inferiore a quella italiana (2.966 dollari). Non si registrano inversioni di tendenza: nel periodo 2010-2014 il tasso di crescita reale della spesa del Ssn è stato negativo (-1,4%), al quarto posto nel panorama Ue in termini di diminuzione delle risorse per la protezione sanitaria.

In Italia dal 2009, l’incidenza della spesa corrente Ssn su Pil è assestata stabilmente al 7%, nonostante la stagnazione dell’economia e il quadro di peggioramento epidemiologico, quest’ultimo imputabile al crescente invecchiamento della popolazione e al conseguente incremento delle patologie croniche. È significativo constatare che l’incidenza della spesa per il Ssn sul totale della spesa pubblica sia scesa dal 14,9% al 14% tra 2010 e 2014 (Istat 2016). La sanità non sembra essere considerata né volano di potenziale sviluppo sociale né di crescita economica. Allo stesso modo, già dal 2008 cala significativamente l’incidenza della spesa sanitaria sul totale della spesa per la protezione sociale, dal 26,2% (2008) al 23,5% (2014), sostanzialmente a vantaggio della spesa previdenziale e di sostegno in caso di disoccupazione. Questo trend, sebbene spiegabile alla luce della recente crisi economica e del quadro demografico, non fa che ribadire la preferenza del welfare italiano per il trasferimento monetario alle famiglie in funzione dei redditi pregressi dei singoli. Il Cergas evidenzia infine che stenta a decollare l’evoluzione verso servizi finalizzati ai bisogni e che tengano in considerazione il reddito effettivo dell’intero nucleo familiare. E questo indebolisce ulteriormente la forza redistributiva del sistema di welfare complessivamente inteso. La spesa sanitaria privata per il 2015 è stata rivalutata statisticamente a 34,5 mld, ma anch’essa fino a oggi mostra tassi di crescita molto contenuti. In particolare, la spesa sanitaria privata rappresenta il 2,1% del Pil, con un’incidenza ferma al 23% della spesa sanitaria totale, permettendo al Ssn di garantire il 77% della spesa totale, in linea con i grandi paesi dell’Unione europea (Francia e Germania, in particolare). La constatazione che la spesa sanitaria privata non cresce nonostante la stasi della spesa sanitaria pubblica porta a due considerazioni. Da un lato, non si osservano effetti di sostituzione tra spesa pubblica e privata, entrambe sempre più agganciate all’andamento del Pil. Le famiglie italiane hanno finora dimostrato una medio-bassa propensione a riallocare le proprie risorse a favore di consumi sanitari: la spesa sanitaria privata rappresenta solo il 3,4% della spesa delle famiglie, contro “alberghi e ristoranti” al 9,8% (Istat).

Un sistema in equilibrio di bilancio. Il Ssn ha consolidato nel 2015 un raggiunto equilibrio di bilancio, che va dunque considerato strutturale. Dal 2012, ricorda il report, il Ssn registra un leggero avanzo di amministrazione, considerando gli automatismi in essere nell’aumento automatico delle aliquote fiscali regionali per i territori che registrano ancora dei deficit. Nel 2015, il Ssn registra un avanzo di 346 milioni, pari allo 0,3% delle risorse correnti. Gli automatismi per riaggiustare eventuali disavanzi creano un sistema robusto di incentivi alla sostenibilità dei singoli Ssr, responsabilizzando le comunità regionali e i loro meccanismi di rappresentanza. I deficit del Centro-Sud calano rapidamente a partire dalla metà degli anni 2000. Nel 2015, restano solo tre Regioni con un disavanzo di qualche rilievo: Sardegna con 340 milioni di disavanzo, Liguria con 110, Molise con 23. Il risultato dell’equilibrio di bilancio e della convergenza finanziaria regionale è ancora più apprezzabile se consideriamo che è stato raggiunto proprio negli anni più difficili, in cui la spesa sanitaria (pubblica e privata) non è cresciuta e in cui i trend epidemiologici sono in peggioramento. Anche sulla copertura dei debiti pregressi, almeno sul versante dei fornitori del Ssn, Il Cergas rileva evidenti segnali di miglioramento. A livello nazionale, tra 2012 e 2016, i tempi di pagamento massimi delle aziende sanitarie pubbliche sono stati dimezzati, passando da 307 giorni a 161 (Assobiomedica, 2016). La conclusione è che sono calati sensibilmente i tempi di pagamento in regioni caratterizzate da solvibilità critica, come è avvenuto in Calabria (da 1010 giorni nel 2012 a 532 nel 2016), Molise (da 934 a 706), Campania (da 805 a 276) e Lazio (da 411 a 276).


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