Dal governo

Ambiente senza prevenzione: Vds in cantiere ma la tutela della salute resta un miraggio

di Stefano Palmisano (avvocato)

La tutela integrata di ambiente e salute, a mezzo della valutazione di danno e d’impatto delle varie attività antropiche, o per esser più precisi industriali, è una delle priorità civili, politiche e giuridiche di quella che un grande sociologo scomparso lo scorso anno definiva «la società del rischio». Per questo, si proverà a ricostruire nelle righe che seguono, in maniera essenziale, le principali evoluzioni normative in quest’ambito, a livello nazionale e comunitario.

In principio, fu la legge regionale pugliese istitutiva della “Valutazione del danno sanitario”. Fu adottata in seguito, se non “in risposta”, all’alluvione di scoperte poco rassicuranti - che emergevano da un procedimento penale di discreta notorietà - in ordine al ruolo, non proprio balsamico, delle emissioni dello stabilimento Ilva di Taranto sulle condizioni dell’ambiente e della salute di masse di abitanti di quella città.

Con riferimento ad alcune specifiche zone del territorio pugliese, per l’appunto le «aree di Brindisi e Taranto, già dichiarate “aree a elevato rischio di crisi ambientale”», veniva istituito l’obbligo, in capo agli enti regionali di tutela dell’ambiente e della salute pubblica, di «congiuntamente redigere, con cadenza almeno annuale, un rapporto di Valutazione del danno sanitario (Vds) anche sulla base del registro tumori regionale e mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale» (articolo 1 della legge regionale 21/2012). La finalità - conseguenza della Vds - avrebbe dovuto essere l’ulteriore obbligo, per alcune determinate categorie di stabilimenti insediati nelle aree su citate (quelli sottoposti ad Autorizzazione integrata ambientale - Aia e aventi particolari caratteristiche di impatto ambientale), di «ridurre i valori di emissione massica in atmosfera degli inquinanti per i quali il rapporto Vds ha evidenziato criticità» (articolo 3).

L’articolato si chiudeva con la previsione di una serie di «misure di mitigazione, vigilanza e controllo» da applicarsi in immediata successione, a carico delle stesse aziende, in relazione all’eventuale emersione delle predette criticità (articolo 6). Nel gennaio 2013, il legislatore nazionale seguì quello regionale pugliese.

Con la legge di conversione del decreto legge 207/2012 (il noto decreto “ad Ilvam”, capostipite di una ormai lunga serie), veniva introdotto, infatti, anche nell’ordinamento nazionale la Valutazione del danno sanitario (articolo 1-bis).

Sulla ratio di quella specifica previsione, sono possibili varie ipotesi.

O qualcuno faceva notare al Parlamento, sulla scorta della legge pugliese, che la procedura Aia presentava, in generale, buchi inquietanti in materia di disposizioni a tutela della salute pubblica e l’Organo legislativo provava a rimediare, in una sede, peraltro, “peculiare” come la conversione di quel tempestoso decreto; o qualcun altro voleva provare a riequilibrare un minimo un provvedimento governativo (il citato primo decreto “salva Ilva”) che, nella lettera e nello spirito, nella struttura e nella funzione, pareva appena sbilanciato verso le esigenze «della produzione e dell’occupazione», con buona pace di quelle dell’ambiente e della salute pubblica. Come che sia, la Vds diventava legge dello Stato. I criteri metodologici per la redazione del rapporto di Vds venivano rinviati a un apposito decreto del ministro della Salute, di concerto con quello dell’Ambiente.

Il decreto (Dm) era emesso ad aprile 2013. L’accoglienza che riceveva, però, non era proprio un coro di ammirate adesioni. I primi a non risultare entusiasti del provvedimento erano illustri esponenti del mondo scientifico particolarmente versati in ambito di rapporti tra ambiente e salute.

Su tutti, tre famosi epidemiologi che in un testo apparso sulla rivista Epidemiologia e prevenzione (2013, 37, 6) ponevano, con riferimento al decreto ministeriale, questioni decisamente pregnanti, la prima delle quali era: «perché separare epidemiologia da valutazione del rischio? L’epidemiologia è disciplina per la misura del rischio mediante osservazione pianificata della realtà, così come il risk assessment è mirato a valutarlo avvalendosi di dati della tossicologia e dell’epidemiologia. La novità della Vis è appunto l’integrazione di queste componenti, inserite in un percorso condiviso con i portatori di interessi». (Valutazioni di impatto sanitario, sorveglianza epidemiologica e studi di intervento nelle aree a rischio, F. Bianchi, F. Forastiere, B. Terracini).

Dopo quelle delle punte più avanzate della scienza in questo campo, arrivavano anche le critiche dell’Ente pubblico preposto alla tutela dell’ambiente (e, quindi, della salute pubblica) più “in prima linea” in materia di valutazione del danno sanitario, l’Arpa Puglia.

La stessa che, peraltro, aveva già pubblicato, nel maggio dello stesso anno, la prima «Valutazione del danno sanitario - Stabilimento Ilva di Taranto», stimando che «i miglioramenti delle prestazioni ambientali, conseguiti con la completa attuazione della nuova Aia (prevista per il 2016) avrebbero comportato un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale».

Da un punto di vista strettamente numerico, questo significava portare il numero delle persone a rischio di tumore da 22.500 a “sole” 12.000.

Giusto per avere un’idea dei valori sottesi a questa vicenda.

Secondo Arpa, gli effetti del decreto sarebbero stati tali, ai fini della stessa salvaguardia delle prerogative e dell’adempimento degli obblighi istituzionali dell’Ente, che essa impugnava il regolamento innanzi al Tar Lazio, facendolo oggetto di una serie di stringenti censure, di merito e di metodo, sulla scorta delle quali i dirigenti dell’Ente pugliese di protezione ambientale approdavano alla conclusione che il decreto ministeriale avrebbe reso «di fatto inefficace l’attività preventiva di Arpa».

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio rigettava il ricorso (sezione III-quater, n. 8982, del 13 agosto 2014), con motivazioni che, però, non parevano confutare nel merito tutte le osservazioni di Arpa Puglia.

Appena pochi mesi dopo, però, il provvedimento normativo in questione, pure in quella forma “minimalista” stigmatizzata da Arpa, subiva un ulteriore “ridimensionamento”: un nuovo decreto legge della lunga catena “salva Ilva” sanciva che «il rapporto di valutazione del danno sanitario non può unilateralmente modificare le prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale in corso di validità, ma legittima la regione competente a chiedere il riesame ai sensi dell’articolo 29-octies, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni» (articolo 2, comma 2, del decreto legge 5 gennaio 2015, n. 1).

Nonostante questo quadro assai poco incoraggiante, la stessa Arpa Puglia redigeva, nel maggio 2015, un nuovo rapporto di Vds relativo all’area di Taranto, «scenario emissivo 2016»: le persone a rischio tumore passavano da 12.000 a 14.000.

Anche in questo caso, pertanto, risultava «confermata la criticità dell’area di Taranto di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge regionale 21/2012 con le previste conseguenze normative a carico delle aziende che si trovano nell’area suddetta».

Nonostante, la conclusione “propositiva” dell’Agenzia Pugliese, non risultano “conseguenze normative” particolarmente draconiane a carico di quelle aziende.

Più che altro, a carico della più “nota” tra esse (Ilva) non ne risultano affatto. Ma, da quanto sopra sommariamente ricostruito, non c’è da meravigliarsi molto. La sensazione conclusiva è che, se - per riprendere il principio a base della legge regionale pugliese - la valutazione del danno sanitario dovrebbe essere un’arma fondamentale per perseguire «lo scopo di prevenire ed evitare un pericolo grave, immediato o differito, per la salute degli esseri viventi e per il territorio» derivante da emissioni industriali, essa non pare proprio “l’ordigno fine di mondo” del principio di prevenzione primaria.


© RIPRODUZIONE RISERVATA