Dal governo

Valutazione impatto salute: trame legislative troppo larghe

di St.Palm.

«Una combinazione di procedure, metodi e strumenti per mezzo dei quali una politica, un piano o un progetto possono essere giudicati sui loro potenziali effetti sulla salute di una popolazione, e sulla distribuzione di questi effetti all’interno della popolazione stessa». Questa la definizione della Valutazione d’impatto sulla salute (Vis) coniata nel 1999, durante il consensus di Goteborg, da un ente europeo dell’Organizzazione mondiale della Sanità.

In breve, l’obiettivo dichiarato della Vis è quello di «ridurre le disuguaglianze di salute informando i responsabili politici dei potenziali impatti sulla salute di una proposta su vari gruppi della popolazione e, se nel caso, raccomandare modifiche per consentire una più equa distribuzione degli impatti; serve a fornire informazioni a chi pianifica e a chi decide riguardo alle conseguenze di ciò che si decide», come si legge in documenti ufficiali del ministero della Salute.

In tal senso, nel 2014, il Parlamento europeo e il Consiglio emanavano una direttiva (la 2014/52) per modificare quella vigente in materia di «valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati».

Una delle principali finalità di quest’ultimo provvedimento normativo comunitario è quello «di garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute umana».

Nel nostro ordinamento, in particolare nel decreto legislativo 151/2006, la normativa in materia di valutazione ambientale di piani, programmi e progetti perseguiva già la protezione della salute umana e, quindi, prevedeva (almeno in teoria) forme di valutazione d’impatto sanitario, in particolare nella valutazione dei progetti (la vera e propria Valutazione d’impatto ambientale - Via).

Dal dicembre 2015, con il cosiddetto “collegato ambientale” (legge 28 dicembre 2015, n. 221), la Valutazione d’impatto sanitario è diventata oggetto di apposita previsione legislativa inserita all’interno della fase decisoria della Via.

La Vis si pone in chiaro collegamento con la Valutazione del danno sanitario (si veda l’altro articolo dell’autore, ndr); però, con alcune significative differenze: la prima delle quali è la più spiccata natura “preventiva” che pare ispirare la prima (connotazione, peraltro, abbastanza agevole da rivestirsi a fronte della Vds, dato che quest’ultima, per la “peculiare” costruzione legislativa di cui è stata fatta oggetto, di preventivo ha assai poco). In particolare, la norma del 2015 prevede che nei provvedimenti concernenti determinati tipi di progetti «è prevista la predisposizione da parte del proponente di una valutazione di impatto sanitario (Vis), in conformità alle linee guida predisposte dall’Istituto superiore di sanità, da svolgere nell’ambito del procedimento di Via».

Per provare ad abbozzare un’analisi critica, a volo d’uccello, di questa nuova normativa, il primo elemento di criticità riguarda proprio la griglia di progetti per cui è prevista la Vis: centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica superiore a 300 Mw, raffinerie di petrolio greggio (neanche tutte), impianti di gassificazione e di liquefazione di particolare entità, terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto. Pare un’elencazione francamente molto ristretta, forse troppo.

Ma c’è di più. La Vis è completamente esclusa dalla valutazione di piani e programmi, ossia dalla Valutazione d’impatto strategico (Vas). Con buona pace dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che, nelle sue linee guida, definisce la Valutazione integrata d’impatto ambientale e sanitario (Viias, praticamente sovrapponibile alla Vis, con alcuni elementi integrativi nei confronti di quest’ultima) «strumento integrativo dei procedimenti di Via e di Vas [...] iter unico di valutazione di tutti i possibili effetti sulla salute di piani, progetti e/o impianti industriali suscettibili di un impatto ambientale».

Infine, (ma il cahier de doléances potrebbe proseguire), non può non registrarsi il brillante principio posto in fine della norma in esame per cui le attività di controllo e di monitoraggio relative alla Vis si svolgono «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Plastica raffigurazione della reale considerazione in cui è tenuto l’istituto da parte del legislatore.

La chiosa di questa trama legislativa a maglie larghe, se non lacerate, è sempre nel “collegato ambientale”: la Vis si applica solo «ai procedimenti iniziati dopo la data di entrata in vigore della presente legge». Per tutti quelli in essere, la salute - come il paradiso - può attendere. Dal combinato disposto di tutti questi elementi (e di altri ancora che qui si omettono per ragioni di spazio), già sotto il mero profilo normativo (ossia, “teorico”) c’è davvero poco per cui esaltarsi per le sorti della effettiva tutela della salute pubblica garantite da questa riforma.

All’esito di questa breve analisi sinottica di Vds e Vis, la sensazione conclusiva è che nell’ordinamento di questo paese - a partire proprio dal ganglio nevralgico della valutazione, necessariamente integrata, degli impatti ambientale e sanitario di piani, progetti e impianti - ci sia, complessivamente, ancora molto da lavorare per garantire sul serio quel «livello elevato di protezione dell’ambiente e della salute umana» che prevede la normativa comunitaria. Ma, prim’ancora, per prendere sul serio il principio costituzionale di questo Stato per cui «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Se lo “sviluppo sostenibile” è appena qualcosa in più di una declamazione retorica - per non dire, data l’impostazione culturale di molti suoi cultori, un slogan pubblicitario - non può che iniziare col provare a dare un minimo di attuazione concreta a quel principio.


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