Dal governo

Trapianti, bilancio 2016 in attivo. A gennaio il Piano nazionale donazioni

di Barbara Gobbi

Il Piano nazionale delle donazioni da approvare in Conferenza Stato-Regioni a inizio anno nuovo. Il trapianto da vivente. La rigenerazione degli organi e il trapianto a cuore fermo. La chiusura di un’importante catena “samaritana”. Una campagna di comunicazione unica su scala nazionale. E, come sempre, la lotta senza quartiere alle opposizioni, che restano al 30 per cento. Il direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt) Alessandro Nanni Costa anticipa un 2017 denso di obiettivi, ciascuno dei quali più o meno a portata di mano. Tutti, senz’altro, figli di un lavoro di squadra. Compreso quello realizzato quotidianamente, 24 ore su 24, dal Cnt operativo, istituito a novembre 2013 e attivo presso l'Istituto superiore di Sanità. «Seguiamo l’assegnazione di ciascun organo, sia che venga destinato a un programma nazionale (urgenze, programma pediatrico, split fegato, programma nazionale iperimmuni, eccedenze, Porta europea) - che riguarda il 20-25% di tutti gli organi - sia alle liste regionali, sino alla fase del trapianto. Anche i trasporti di organi, équipe e pazienti, sono monitorati dal Cnto attraverso un collegamento costante con le Regioni», spiega Nanni Costa. Un lavoro portato avanti da operatori di ogni tipo – compresi medici e infermieri, statistici e comunicatori – quasi tutti rigorosamente precari. Una questione aperta, quella della mancata stabilizzazione, su cui anche nelle ultime settimane i lavoratori dell’Iss hanno richiamato l’attenzione della ministra Beatrice Lorenzin. Che forse al terzo mandato riuscirà a portare a casa, su questo fronte, qualche risultato.

I dati. Intanto, al Cnt preferiscono snocciolare gli ultimi dati. A ottobre 2016 (dati in proiezione) sono 3.268 i trapianti eseguiti: 1.700 di rene, 1.189 di fegato, 252 di cuore, 137 di polmone, 71 di pancreas. Nel 2015 i trapianti complessivi erano stati 3.002, i donatori 1.165 rispetto ai 1.260 di quest’anno. Intanto, le liste d’attesa restano stabili: sono 9mila i pazienti che aspettano, di cui 7mila hanno bisogno di un rene. Per tutti, la probabilità di ricevere un organo è del 70-80%.
Il sistema insomma continua a crescere, tra difficoltà innanzitutto attribuibili a una realtà in cui il “gold” è ormai diventato imparare a usare organi anziani su pazienti sempre più anziani.La norma, spiegano infatti dal Cnt, è ormai ricevere dai centri regionali segnalazioni di pazienti “over 60”, con malattia vascolare acuta. Da qui l’importanza di tecniche come la perfusione - che consentono il ringiovanimento necessario a rendere un organo comunque utilizzabile - e che hanno riguardato un centinaio di casi - e del trapianto da vivente, che tra 2014 e 2015 è cresciuto del 20,4%. Ma perché il sistema continui a migliorare occorre lavorare anche sul tasso ancora alto di opposizioni a donare. Con una forbice enorme: dal 13% delle Marche al 55% della Basilicata. «Dobbiamo potenziare la formazione nelle rianimazioni - avverte Nanni Costa». Oggi si fa molto: lo stesso Cnt organizza corsi nazionali gratuiti che hanno qualificato 3mila professionisti. Nel 2016 200 sono stati impegnati nella formazione sugli organi, e con i corsi su pma e tessuti si arriva a 700. Ma non basta. Tanto che tra le novità contenute nel Piano nazionale delle donazioni pronto per la Stato-Regioni, l’attività trapiantologica figura come obiettivo del direttore generale. «Il trapianto - aggiunge Nanni Costa - deve diventare un’attività condivisa da tutti gli operatori dell’ospedale, da tutti gli operatori, che vanno qualificati sia sotto il profilo tecnico e tecnologico sia dal punto di vista della comunicazione e dell’umanizzazione dei rapporti con le famiglie. Una comunicazione competente è il primo passo da compiere per ridurre i “no” a donare. La riprova l’abbiamo dal progetto “Una scelta in Comune”, che consente di registrare la dchiarazione di volonta della carta d’identità: qui i cittadini che si oppongono sono molto pochi». Tra le strategie in campo, c’è poi la campagna “Diamo il meglio di noi”, rivolta alle grandi organizzazioni e alle Università (La Sapienza di Roma è già coinvolta) e mirata a ottenere il loro impegno nel divulgare la cultura dei trapianti tra i propri dipendenti, associati o membri. Una campagna che presto interesserà anche le Regioni.

I costi sociali e i risparmi. «Il trapianto è la miglior cura per l’insufficienza terminale d’organo». Sembra un slogan ma non lo è: non solo il trapianto in alcuni casi è un salva-vita, ma consente anche una migliore sopravvivenza e un risparmi sui costi sociali ed economici.Basti pensare che il trapianto di rene porta a una sopravvivenza dei pazienti molto superiore alla loro permanenza in dialisi: il rischio di decesso post trapianto è di oltre il 70% inferiore rispetto ai pazienti della stessa età in dialisi. Mentre la mortalità successiva è praticamente sovrapponibile a quella di una persona che non sia stata trapiantata. Non solo: quasi il 90% dei pazienti trapiantati di cuore lavorano o sono nelle condizioni di farlo. Nei trapiantati di fegato - l’intervento più complesso di chirurgia dell’addome - la percentuale si mantiene alta pur se più bassa: 78%. Nel caso del rene si torna all’89 per cento. Recuperare la funzionalità dell’organo significa tornare a vivere, a lavorare, a fare sport (un progetto specifico del Cnt valorizza proprio l’attività fisica). A rimettersi in carreggiata, senza “pesare” per altro sulla società.
E anche se a oggi non risultano valutazioni socio-economiche dell’impatto delle attività di trpianto in Italia, uno studio inglese che ha messo a confronto i costi del trpianto di rene e della dialisi mostra dati inequivocabili: «È emerso - spiegano dal Cnt - che a 20 anni dal trapianto, il costo sostenuto per l’intervento e per le terapie immunosoppressive viene ripagato 3 volte dal costo sostenuto per mantenere un paziente in dialisi per lo stesso periodo di tempo. Il costo di una persona che resta in dialisi cinque anni infatti è di 170.000 euro, valore che sale a 682.298 euro dopo 20 anni. Con il trapianto invece, si sostiene un costo di 78.000 euro a 5 anni, che dopo 20 raggiunge quota 206.000, quindi meno di un terzo del costo per la dialisi».

Le prospettive aperte dagli anti epatite C. I nuovi farmaci contro l’epatite C, per cui la legge di Bilancio ha stanziato buona parte del miliardo su due aggiuntivi del Fondo sanitario nazionale 2017, potrebbero consentire l’impiego di organi di donatori che hanno contratto l’infezione. Sono infatti farmaci innovativi, in grado di eradicare il virus. Ovviamente è ancora un’ipotesi, ma le nuove terapie che permettono la guarigione «ci consentono di poter lavorare a prospettive differenti, grazie al fatto che, dopo il trapianto, l’infezione può essere curata con successo dal ricevente


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