Dal governo

8 marzo, Farmindustria promuove le aziende a misura di donna. Più spazio ai trial rosa

di Rosanna Magnano

Le donne sono il 43% degli addetti nella farmaceutica (contro una media manifatturiera del 25%) , sono quasi tutte laureate (90%) e per loro le posizioni apicali non sono un miraggio. Nelle aziende farmaceutiche c’è infatti un dirigente donna su tre, la quota più alta tra i settori industriali (dove solo 1 dirigente su 10 è donna). E nella ricerca, punta di diamante del settore, le signore sono la maggioranza con il 52 per cento. Non si tratta di quote rosa, ma del combinato disposto tra una selezione meritocratica del personale e l’adozione di un welfare aziendale «a misura di donna», con il 70% delle imprese Pharma che offrono un ampio ventaglio di servizi anche finalizzati alla conciliazione del tempo di vita e di lavoro. Dalle mense alle agevolazioni sull’orario, dalle assicurazioni alla sanità integrativa con screening mirati gratuiti di medicina preventiva, dagli asili aziendali allo smart working. Una serie di facilitazioni che negli altri settori è adottata solo dal 43% delle aziende. È questo il modello di relazioni industriali illustrato oggi a Roma dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, nel corso del convegno «Chi l’ha detto che donne e uomini sono uguali», alla vigilia della festa della donna.

Relazioni che incidono sulla qualità della vita e fanno la differenza. «Le imprese del farmaco si distinguono positivamente nel panorama industriale - continua Scaccabarozzi - e sono state le prime ad adottare la contrattazione di secondo livello, con particolare attenzione al welfare e da anni la applicano con la massima convinzione. Le imprese del farmaco con contratto aziendale sono il 71% del totale e l’86% eroga premi variabili».

E tra le iniziative lanciate dall’associazione, Farmindustria annuncia «corsi di formazione e informazione sui farmaci, sull'appropriatezza terapeutica e sulla prevenzione destinati in primo luogo alle donne. Perché le donne sono protagoniste nelle decisioni sugli stili di vita, sulle cure e nell'assistenza ai più deboli nell'ambito della famiglia. Svolgono dunque il doppio ruolo di caregiver per la comunità familiare e di sussidiarietà rispetto al sistema assistenziale pubblico».

Lorenzin: «Battersi per il diritto alla salute delle donne»
Un’esigenza condivisa e rilanciata anche dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin. «Oggi più che mai è necessario battersi per il riconoscimento del diritto alla salute delle donne: è infatti singolare pensare che nel 2017 ci sia ancora qualcuno che non riconosce la diversità uomo-donna per la medicina, tendendo a negare tali differenze. Spesso viene detto che una medicina di genere ha dei costi troppo elevati, ma in realtà tutta la medicina moderna tende all'approccio della personalizzazione, e il primo passo è dunque proprio il riconoscimento delle differenze. La medicina di genere, tuttavia - ha proseguito - sta cominciando a prendere possesso dei tavoli decisionali, perchè questo non è un fattore politico ma scientifico, e c'è il diritto delle donne ad essere curate così come gli uomini».

Un’attenzione alla «diversità» delle donne che va perseguita nella pratica clinica, come prima forma di «medicina personalizzata»: «Nell'industria farmaceutica non si parla solo di “donne” al plurale - continua il presidente di Farmindustria - ma anche di “donna” al singolare, perché con la medicina personalizzata si cerca di curare la malattia di ogni specifica paziente. Che reagisce in maniera differente dall'uomo alle cure e pure a certi eventi patologici e al loro decorso, come accade ad esempio nel caso dell'infarto».

Focus ricerca: l a donna entra nelle sperimentazioni cliniche
E il nuovo corso deve riguardare soprattutto la ricerca farmaceutica: «Le risposte delle imprese del farmaco e della ricerca farmaceutica - sottolinea Farmindustria - sono oggi sempre più appropriate, ma è comunque necessario insistere su una R&S sempre più “rosa”. Con un approccio olistico che tenda a inserire le donne nelle diverse fasi di sviluppo dei medicinali, rendendo sempre più mirata la ricerca».

Il problema che ha ostacolato l’inserimento delle donne nelle sperimentazioni cliniche, nelle varie fasi di approvazione di un nuovo medicinale, è stato da un lato l’esigenza di «proteggerle», soprattutto durante l’età fertile, da eventuali conseguenze ed eventi avversi. Ma anche il fattore costi, che nel caso di trial mirati sulle donne salgono. I passi avanti tuttavia non mancano: «Rispetto agli anni ’90 - spiega Patrizia Popoli, presidente della Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) - quando non era possibile inserirle nelle fasi precoci della sperimentazione il quadro è cambiato. Anche perché si è capito che escludendo le donne dai trial si finiva per portare sul mercato farmaci non testati sulle donne sotto il profilo della sicurezza e della cinetica. E le conseguenze si sono pagate: negli Usa, su 10 farmaci ritirati dal commercio, 8 sono stati sospesi per eventi avversi sulle donne. Lo stesso problema si sta ponendo in pediatria, perché è difficile arruolare bambini nei trials». E l’Aifa annuncia interventi mirati su questo fronte: «Nel 2015 l’Aifa ha pubblicato le linee guida per l’inserimento delle donne nelle sperimentazioni cliniche - ricorda Paola Testori Coggi, presidente del Comitato prezzi e rimborsi di Aifa - e con il direttore generale Melazzini rilanceremo misure ad hoc. Non si può arrivare a valutare l’effetto di un farmaco sulle donne solo con la farmacovigilanza (nella fase di sorveglianza post marketing ndr)».

Insomma la svolta sembra dietro l’angolo. Non a caso i farmaci oggi in sviluppo per le patologie maggiormente presenti tra le donne sono più di 850 a livello internazionale. E non riguardano solo la sfera ginecologica, che si colloca al nono posto. I primi ambiti di indagine sono il sistema muscolo scheletrico (114 farmaci), sistema immunitario (110) e neoplasie (139).

Un’attenzione alle «Gendered innovations» che cresce a livello internazionale. È questo il nome di un progetto avviato alla Stanford University in partnership con la Commissione europea e US National Science Foundation che coinvolge più di 70 esperti tra Europa, Stati Uniti, Canada e Asia. Obiettivo dell’iniziativa: la creazione di un network di ricerca per sviluppare nuove metodologie per lo studio di genere che conducano all’innovazione anche farmaceutica. Nel corso dell’evento di oggi sono stati tra l’altro consegnati i premi Telethon-Farmindustria a tre ricercatrici che si sono distinte a livello internazionale ottenendo finanziamenti dallo European Research Council.

Ricerca in rosa anche nelle scelte politiche di Bruxelles, con l’introduzione trasversale del concetto di genere in Horizon 2020 e con una risoluzione approvata dall’Europarlamento sulla promozione della ricerca di genere, con cui si invitano gli Stati membri, nell’applicazione del nuovo regolamento sui trial clinici a utilizzare un approccio metodologico che garantisca una rappresentanza adeguata di uomini e donne nelle sperimentazioni cliniche.

La medicina di genere priorità italiana
Un approccio che in Italia è adottato dal Ddl Lorenzin, approvato dal Senato e all'esame della commissione Affari sociali della Camera in seconda lettura. «Il primo articolo riguarda la ricerca - spiega la presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi - e per la prima volta nel diritto italiano è introdotto il termine di “Ricerca di genere”». Ricerca gender oriented, ma non solo. «La mia proposta - continua De Biasi - è di arrivare a un protocollo d'intesa con i ministeri dell'Università e della Salute, oltre che con le Regioni, per attuare un Piano per la promozione della medicina di genere, che tenga dunque conto delle differenze tra uomini e donne, che possa essere però puntualmente monitorato».

E la medicina di genere sbarca anche ufficialmente nei corsi di laurea in Medicina e chirurgia. Lo ha annunciato il presidente dell'Associazione Conferenza dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e presidente della Società italiana di endocrinologia, Andrea Lenzi. «I 59 presidenti dei corsi di laurea in Medicina - spiega Lenzi - hanno deciso, con una mozione da me firmata, che a partire dall'anno accademico 2017-18 tutti questi corsi di laurea avranno nell'ambito delle loro discipline, da endocrinologia a medicina interna, l'insegnamento della medicina di genere, che è la prima tappa per la medicina personalizzata». Questo, ha chiarito, «non perchè la medicina per gli uomini e per le donne siano due medicine differenti, ma perchè la terapia e la diagnostica vanno declinate in funzione del sesso».


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