Dal governo

Dopo troppi fallimenti serve (davvero) un nuovo Patto sociale

di Roberto Polillo

La crisi del nostro servizio sanitario è talmente evidente che a poco servono le rassicurazioni del ministro Lorenzin e le entusiastiche ipervalutazioni di Bloomberg che, anno dopo anno, ci fa guadagnare posti nella classifica sulla performance dei servizi sanitari europei
La qualità del dibattito pubblico è la spia più fedele di quanto profondo sia il malessere che pervade il campo istituzionale. A tenere banco è sempre e soltanto il problema delle risorse (scarse e progressivamente decrescenti rispetto al Pil) e del peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori (sempre più ridotti di numero e peggio pagati). Una condizione ormai da tutti riconosciuta e ieri vergata con il timbro della ufficialità dalla stessa maggioranza di governo che nella sua risoluzione al Dpef 2017 ha lanciato un grido di allarme e invitato l'esecutivo «a garantire l’universalità e l’equità del servizio sanitario nazionale, rafforzandone ulteriormente l'efficienza e la qualità delle prestazioni, anche prevedendo interventi volti ad allineare progressivamente la spesa italiana in rapporto al Pil a quella media europea».
I medici sono ormai rassegnati a un’irreversibile perdita di status e gli altri operatori tengono solo perché la terra promessa sembra più vicina: il riscatto dall'anomia dove per troppo tempo li ha relegati il mansionario e la subordinazione gerarchica ai medici. Nulla si dice invece delle questioni che sono il core del sistema salute:
• quali modelli di cura implementare,
• come integrare tra loro le diverse professioni sanitarie, fermo restando il rispetto delle competenze acquisite e dei percorsi di studio di ciascuna di esse;
• quale ruolo deve avere la formazione universitaria e quale quella (almeno equivalente) garantita sul campo dagli ospedali pubblici;
• come trasferire nella pratica clinica quello che la ricerca ci consegna come nuova conoscenza direttamente applicabile;
•come valutare con senso critico le grandi novità terapeutiche che la nuova generazioni di farmaci intelligenti e costosi aggiunge al nostro armamentario terapeutico.
• come creare delle reti di professionisti per implementare l'appropriatezza clinica attraverso percorsi condivisi
• come realizzare nel concreto e non solo a parole una medicina centrata sul paziente

Nulla di tutto questo è presente nel dibattito pubblico. Il servizio sanitario, sembra ormai schiacciato dal peso dei suoi problemi, ed è afasico rispetto a queste grandi questioni.
Si dà così grande risalto a una legge sulla responsabilità professionale pasticciata, dagli esiti incerti e dalle conseguenze imprevedibili. Con la quasi certezza che la riduzione della medicina difensiva e la tutela dei professionisti, i fondamenti che ne hanno dettato l'impianto, resterà una dichiarazione di principio che la prima sentenza rischia travolgere
Si dà grande valore all'approvazione dei nuovi LEA quando è ormai chiaro che le risorse necessarie ad una loro effettiva implementazione non sono presenti in nessun libro contabile.
Paradosso dei paradossi, per sapere qualcosa di più sulla qualità del servizio e sulla reale esigibilità delle prestazioni (di fatto negate in più della metà del paese) bisogna leggere le analisi della Corte dei Conti che lascia ai numeri l'ingrato compito di descrivere il paese reale e le sue crescenti diseguaglianze e inefficienze.
Da questo schema di gioco non riescono a uscire neppure le categorie professionali, incapaci, anch’esse, di indicare una concreta prospettiva di cambiamento. Anche qui a prevalere una visione sottotono della sanità; con un'idea di medicina, fatta di carte, di norme e codicilli, che non riesce a mobilitare il paese e i cittadini per difendere un bene che giorno dopo giorno deperisce.
Fallimentare è stata anche l’idea di integrare le elites politiche con membri di alto rango delle associazioni professionali che, dagli scranni del Senato, avrebbero dovuto difendere il servizio sanitario.
I risultati sono evidenti: nulla è cambiato in termini reali, ma anzi le scelte del governo, in primis il definanziamento del Ssn, hanno potuto contare anche sulla loro approvazione. E questo senza un sussulto, un richiamo all’ordine da parte di chi aveva perlomeno favorito questa contaminazione di ruoli e carriere.
Limmiserimento del servizio sanitario non è, dunque, solo di tipo economico-finanziario. Esso è soprattutto un impoverimento culturale, una incapacità delle elites ( professionali, sindacali e politiche) di mobilitare risorse umane e professionali per difendere uno dei pochi beni comuni rimasti.
Una difesa che non può fare a meno di richieste rivendicativo-contabili, ma che tuttavia non può essere limitata solo a tali aspetti, per quanto giusti essi siano. Uscendo da uno stato di comprensibile rancore che, senza dell'altro, non porta valore aggiunto.
La posta è ben più alta e deve entrare con i piedi nel piatto a partire dalle vere questioni: quali sono i determinanti di malattia e come si interviene su di essi; come re-ingegnerizzare il modello assistenziale e, soprattutto, come realizzare una nuova partnership tra decisore politico, professionista e paziente senza i quali il servizio non ha né anima né futuro.


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