Dal governo

Regioni in rosso, Lea e piani di rientro: da dove comincia la svolta?

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

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24 Esclusivo per Sanità24

Un paio di mesi fa, la ministra Beatrice Lorenzin in un’intervista pubblicata su questo quotidiano (vedi link Lorenzin sulle Regioni in piano di rientro: «Conti migliorati grazie alle coperture. In 5 inadempienti sui Lea») aveva messo a nudo l'inadeguatezza dell'attuale sistema della salute e, quindi, l'improrogabile esigenza di riformarlo.
Sul giudizio espresso, da condividersi nella parte critica, hanno indubbiamente inciso gli errori seriali commessi da tempo, nel mantenere in piedi ciò che bisognava invece rivedere strutturalmente e nell'affidare compiti risolutivi a una governance, ordinaria e straordinaria, francamente inadeguata a garantire i Lea su tutto il territorio nazionale.

La gravità della situazione nazionale
Otto regioni in piano di rientro, a lordo del Piemonte appena uscito grazie anche all’attenta presidenza Chiamparino; altre tre Regioni (Sardegna, Liguria e Veneto) anch'esse sottoposte nel più recente passato alla particolare disciplina, dalla quale le prime due sono uscite a fatica; cinque Regioni di quelle in piano di rientro in stato di commissariamento governativo; una mobilità passiva che ha registrato complessivamente 1,4 miliardi di euro, principalmente attratti da Lombardia ed Emilia-Romagna; metà popolazione nazionale con una gestione precaria della salute rappresentano, nel loro insieme, un handicap troppo grosso da potere sopportare. Un peso grave per i cittadini a secco di Lea e, nel contempo, gravati da una fiscalità aggiuntiva, costretta a durare all'infinito. Non solo. Con molte Regioni impegnate a utilizzare le già esigue risorse libere dei loro bilanci per soddisfare soprattutto l'ammortamento dell'oneroso debito pregresso, accumulato per anni e per i quale non ha pagato alcuno in tema di responsabilità.

Mobilità sanitaria: sintomo di un’assistenza che non c'è
Una situazione gravissima che coinvolge circa la metà del Paese, in relazione alle spesso penose condizioni assistenziali, tali da giustificare (si fa per dire!) una massiva emigrazione interregionale, con record negativo di costo in Calabria per 128 euro a cittadino. Una mobilità passiva - alla quale va sommato l'abissale «esproprio» dei risparmi dei cittadini impiegati per accedere ai servizi a pagamento, altrimenti inaccessibili ovvero intempestivi, tali da doverseli assicurare spesso in tempo per salvarsi la vita - che pesa sul sistema rendendolo asimmetrico in termini di offerta e contrario ai principi costituzionali che pretendono una assistenza egualitaria e uniforme.

In relazione ai Lea, sono cinque le regioni “canaglia”: Calabria, Molise, Puglia, Sicilia e Campania. Quanto ai conti, la loro gestione assume all'Asp di Reggio Calabria le sembianze di una farsa, atteso che ivi non si riesce a capire quanto sia il debito pregresso (mai rendicontato da alcuno, tranne che dal Commissariato di protezione civile a fine 2008) e quanto siano stati i doppi pagamenti a fronte dei quali occorrerebbe chiedere la ripetizione dell'indebito per chissà quali cifre. Un argomento, questo, sul quale hanno glissato sino ad oggi i bilanci aziendali e i revisori, la Regione con il suo bilancio e i suoi revisori, gli advisor arrivati ad incassare, per fare nulla, cinque milioni di euro in un anno, la Corte dei Conti, i Tavoli di verifica romani e, infine, i commissari ad acta con i loro soggetti attuatori al seguito, destinatari di gettoni pro die da fare invidia alle star televisive che, nonostante ciò, hanno abbandonato il campo. A impazzire è rimasto solo l'attuale incolpevole management!

Rischio aziendalismo del Ssn
Lo scorso 23 giugno, presso l'Università della Calabria, un interessante convegno dal titolo “Le nuove sfide nazionali della sanità”, a conclusione e all'esordio, rispettivamente, della 16a e 17a edizione del Master in “Direzione e management della salute”. Un’iniziativa partecipata, nell'incomprensibile assenza della Regione Calabria, anche dalla Fiaso nazionale e dalla Regione Basilicata, nelle loro massime espressioni. La Basilicata ha sottoscritto otto borse di studio, di partecipazione all'edizione del Master 2017-2018, destinate ad operatori del Ssr lucano.
In coda agli interessanti temi svolti dai relatori, è stata di fatto anticipata la critica della Lorenzin all'attuale sistema della salute, caratterizzato da un aziendalismo quantomeno improprio, nonché sostenuta la necessità di «cambiare passo» in relazione agli attuali commissariamenti/piani di rientro, incapaci di equilibrare i bilanci e garantire gli standard minimi di erogazione dei Lea.

La proposta e le salvaguardie
Da qui, la proposta, pervenuta dai lavori:
a) accelerare la introduzione dei costi e fabbisogni standard nella sanità, adeguati però sulla base gli indici di deprivazione socio-economica che penalizzano fortemente la nostra regione e non già solo sull'età degli utenti;

b) fare ripartire la perequazione infrastrutturale, irresponsabilmente ferma dal 2011, che ha obbligato il Mezzogiorno ad opporre le proprie tecnologie «ad elastico» a quelle possedute dalle Regioni del nord, attrattive della mobilità pluricentomilionaria;
- nel lungo, di riscrivere la struttura del servizio sanitario istituendo, in luogo dell'attuale aziendalismo, l'Agenzia nazionale della salute, posta a capo di 21 Agenzie (19 regionali e 2 province autonome), con il compito di esercitare il ruolo di strumento attuativo delle politiche socio-sanitarie regionali, da dovere così finalmente integrare. Il modo migliore per mandare in soffitta un aziendalismo che ha fatto solo danni e che non ha più modo di esistere, atteso che allorquando una «impresa» che non fa profitto (i Lea), accumula perdite miliardarie e, dunque, registra un netto patrimoniale da paura è da dichiararsi fallita e, quindi, da espellere dal mercato.
Del resto, l' “agenzificazione” del Ssn non esclude (tutt'altro) che potrà assumere rilievo chi ha dato prova di saperci fare in termini di managerialità.


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