Dal governo

Relazione annuale Inps: il cumulo può attendere

di Claudio Testuzza

Puntando molto del suo intervento sugli immigrati, il presidente dell'Inps Tito Boeri, nel corso della relazione annuale dell'istituto previdenziale , ha oscurato il grosso problema nato dall'ultima legge di bilancio. Cioè l'introduzione del nuovo cumulo previsto anche per gli iscritti alle Casse privatizzate dei professionisti. Tuttavia ad orecchie attente non è sfuggito l'affermazione che l'Inps abbia le mani legate sul nuovo cumulo per i professionisti. La legge di Bilancio 2017, che ha esteso alle Casse la facoltà di cumulo degli spezzoni contributivi per maturare una pensione, a dire di Boeri, è incompleta e impraticabile, perché consente più interpretazioni. Quindi la scelta non spetta all'Inps, ma alla politica! Tale affermazione appare in forte contrasto con quello che il rapporto dell'Inps documenta e sottolinea fortemente: il costante aumento negli anni del numero di lavoratori con più posizioni contributive. Segno che uno stesso lavoratore è spesso costretto a svolgere diverse attività, anche professionali che comportano però passaggi fra gestioni contributive diverse e quindi a soggiacere a diverse regole per la valorizzazione dei contributi, spesso penalizzanti.

Il problema, afferma il presidente Inps, è stato superato dalla legge Bilancio 2017 ma la stessa legge , tuttavia, resta ancora inattuata, in particolare per quanto riguarda il cumulo con le Casse professionali, perché è “ incompleta e impraticabile ”. La sua soluzione lascia spazio, infatti, a due interpretazioni opposte nel fissare il diritto alla pensione. La prima è utilizzare i requisiti ( età e contributi ) più bassi tra quelli previsti dall'Inps e dalle Casse, la seconda, al contrario, è allinearsi ai requisiti più elevati. La prima opzione premia le carriere mobili, ed è preferibile socialmente, ma crea problemi non solo di liquidità alle Casse. La seconda opzione ha problemi opposti. Una terza via potrebbe essere quella di fissare la pensione quale somma delle posizioni contributive nelle varie gestioni, ed erogando le diverse quote solo alla maturazione dell'età propria di ciascuna gestione : una pensione “a progressione” . Boeri tira fuori l'Inps dalla decisione avvertendo, però, che ciò che più è urgente è decidere.

Il rapporto mette, poi, in evidenza i diversi aspetti del sistema previdenziale italiano. Sono 5,8 milioni i pensionati italiani che nel 2016 potevano contare su un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, circa il 37,5 % ( 15,5 milioni i pensionati ). Per le donne la percentuale di chi riceve meno di 1.000 euro al mese sul totale delle pensionate è però molto più alta, raggiunge, infatti il 46,8 % ( 3,8 milioni di persone ), mentre per gli uomini è del 27,1 %. Il dato spinge a considerare che se s'innalza il numero delle donne al lavoro ci saranno più contributi versati nelle casse dell'Inps. Non solo: più le donne guadagnano e più fanno figli. Di conseguenza l'età media della popolazione si abbassa ed aumentano i lavoratori che versano contributi. Ecco perché i conti della Previdenza saranno sostenibili nel lungo periodo solo con più donne occupate.
La « questione femminile » passa da problema privato a «questione nazionale». Nella sua analisi l'Inps elenca alcune evidenze per nulla scontate. La prima: a differenza del passato, quando a diventare mamme erano soprattutto le donne che si dedicavano al 100 % alla famiglia, oggi sono le lavoratrici a fare più figli. L'Inps ha valutato, anche, cosa succederebbe ai suoi conti se la quota di lavoratrici sul totale delle italiane in età da lavoro ( 15-64 anni ) rimanesse invariata da qui al 2040. Il risultato è che in media ogni anno verrebbero a mancare 69 mila assunte. Nel 2040 le lavoratrici sarebbero il 10 % in meno rispetto a oggi. Le minori entrate per l'Inps arriverebbero a toccare i 42 miliardi nel 2040. L'analisi dell'istituto mostra, inoltre, che le lavoratrici in media diventano madri un anno più tardi. Forse anche perché sanno di essere penalizzate sul piano delle retribuzioni. Dopo la nascita del figlio quelle che si tengono stretto il posto perdono il 10 % della busta paga. Se si tiene conto anche di quelle che si ritirano dal lavoro, in media dopo 24 mesi, le neomamme guadagnano il 35% in meno.
Boeri ha parlato anche dei fattori che possono frenare la crescita dell'occupazione in Italia. Bisogna guardare con preoccupazione alla minore appetibilità delle assunzioni con contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato, una volta che sono stati rimossi i forti incentivi contributivi del 2015. Per incoraggiare le assunzioni con contratto a tempo indeterminato è stato proposto di fiscalizzare una componente dei contributi previdenziali all'inizio della carriera lavorativa.
Infine, secondo il presidente dell'Inps, bloccare l'adeguamento dell'età pensionabile agli andamenti demografici, come richiesto in questi giorni dai sindacati, non è a una misura a favore dei giovani ma, di fatto, scarica sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento.


© RIPRODUZIONE RISERVATA