Dal governo

Schizza a 37,3 mld la spesa sanitaria «out of pocket» delle famiglie italiane. E 12,2 mln di cittadini rinunciano alle cure

di Lucilla Vazza

La spesa sanitaria privata degli italiani continua a crescere. Nel 2016 è arrivata a 37,3 miliardi di euro ed è sostenuta in grandissima parte direttamente dalle famiglie. Lo dice il VII Rapporto RBM-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata, presentato oggi in occasione del Welfare Day 2017 con il patrocinio del ministero della Salute. I dati erano già stati resi noti dal Censis il mese scorso, ma sono stati riproposti con una chiave di lettura basata sulla spesa intermediata.

Dal Rapporto emerge che l'Italia continua ad avere una spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil inferiore a quella di altri grandi Paesi europei. Nel nostro Paese è pari al 6,8% del Pil, in Francia all'8,6%, in Germania al 9%. In questi anni il recupero di sostenibilità dei servizi sanitari regionali non è stato indolore. È salito a 12,2 milioni il numero di persone che nell'ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche (1,2 milioni in più rispetto all'anno precedente).

Il miracolo del recupero di sostenibilità finanziaria del servizio sanitario di tante Regioni ha impattato sulla copertura per i cittadini. Il più alto ricorso alla sanità pagata di tasca propria ha come contraltare il fatto che chi non ce la fa economicamente è costretto alla rinuncia o a rimandare visite e analisi diagnostiche.

Va sottolineato che quando si parla di spesa sanitaria privata non si include quella per le assicurazioni sanitarie, mentre si calcola la spesa per la compartecipazione sanitaria, cioè i ticket sanitari e quelli per i farmaci che, in termini reali nel 2015 (ultimo dato disponibile) rispetto al 2007 sono aumentati del +53,7%: con +162,2% per il ticket farmaci e +6,1% per le compartecipazione per prestazioni sanitarie.

L’eterno divario regionale
E sono sempre più marcate le differenze tra le sanità regionali, non solo nella valutazione dei cittadini, ma anche nei valori di indicatori più strutturali degli esiti come mostra, ad esempio, la quota di malati cronici in buona salute che nelle regioni meridionali è inferiore a quella delle regioni del Centro-Nord e, soprattutto, è letteralmente crollata negli ultimi anni. «La retorica dell'universalismo del Servizio sanitario pubblico è un guscio vuoto di fronte alle evidenti diversità di accesso alla tutela della salute e alle cure, e alla moltiplicazione degli effetti di razionamento dei principali deficit del Servizio sanitario stesso», si legge nel report.

«I nuovi Lea, il Piano nazionale delle cronicità, il Piano nazionale per la prevenzione vaccinale sono di certo progressi importanti, ma guai a sottovalutare la portata della sfida di 21 sistemi sanitari locali in evidente traiettoria divaricante, e delle crescenti disparità nelle opportunità di cura, altrimenti a rischio sarà tutto il Servizio sanitario che gli italiani, pur non smettendo di criticarne aspetti del funzionamento, considerano una istituzione decisiva per il benessere e la coesione delle nostre comunità».

Le difficoltà di accesso al sistema pubblico sono aumentate:  le liste d'attesa sono sempre più lunghe

Sul tema delle liste d’attesa non arrivano miglioramenti, anzi. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l'attesa arriva in media a 142 giorni. Per una colonscopia l'attesa media è di 93 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono mediamente 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l'attesa media è di 67 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma l'attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica i tempi medi sono 47 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud.
In questo contesto cresce l'attenzione verso la sanità integrativa, che potrebbe mettere in moto risorse pari a 15 miliardi di euro l'anno, come confermato anche dalle proiezioni di Rbm.


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